domenica 8 dicembre 2013

Vortice.


Soltanto una piccola incisione. Proprio come quando dicono prova, è soltanto un tiro. E poi un altro, e un altro ancora. Ti ritrovi con dell’eroina nelle vene, del sangue nella spada e non sai neanche come sei arrivato sotto quel ponte poco lontano da Venice. Cristo, ho la testa che mi esplode e non riesco a parlare. Solo un misero dente. Una piccola incisione. Non posso evitare l’anestesia. Dovrei. Una piccola dose di morfina non distruggerà un cazzo. Sono pulito da quattro anni e mezzo.  Questa luce è cosi calda, rassicurante. Che strappi pure tutti i denti, se in cambio ricevo questa pace. Dopo il giudizio universale, una stasi totale pervase il mondo. Nella mia bocca dopo l’estrazione di questo dente del giudizio, percepisco la colomba con il ramoscello d’ulivo sbattere tra le gengive e non riuscire a liberarsi. Nessuna pace per il mondo. Pace infinta per me. Il vortice prende nuovamente forma.  “Mr.Kiedis, abbiamo finito, si alzi lentamente dal lettino”. Non devo lasciarmi tradire dallo sguardo. Devo sembrare un po’ dolorante. “Mr. Kiedis mi scusi”. Il topolino strappa denti vuole essere immediatamente pagato. Beverly Hills non è aria per te se elemosini carte di credito, stronzo. “Potrebbe gentilmente autografare il suo ultimo disco, mio figlio è un suo fan”. Sorridi Anthony, fa il tuo dovere sociale da Rockstar positiva. No, meglio che non sorrida, salterebbero i punti in bocca. Percodan, allevia i dolori e anestetizza i sensi. Deve darmelo, in dosi massicce. Devo ripulire le mie vene da questa sobrietà che è durata troppo a lungo. Posso anche morire domani. John è andato, è vivo ma è morto. E’ maledettamente difficile trovare un sostituto. E’ un vortice. Prima Hillel, poi John. Ci sono dentro nuovamente fin sopra i capelli. Un’ora fa ero Mr. Pulito da quattro anni e mezzo, e adesso sto comprando 10 grammi di eroina all’angolo di Sunset Boulevard. Sempre la stessa faccia, sembra dirmi muori e lascia vivere. Poco importa che sia una fottutissima rockstar o uno che ha appena strangolato la madre per rubarle i soldi per la dose giornaliera. Sono un numero. La spirale del vortice aumenta il suo ritmo. I gradini per arrivare a casa non sono mai stati cosi faticosi da salire. Accendo la tv, sarò meno solo in questo viaggio. Devo cucinare, subito. Sembrano bollicine innocue queste che ribollono nel cucchiaio. E’ dentro, fluisce velocemente, un orsacchiotto abbraccia il suo bambino. E’ soltanto un canale per marmocchi. Semplicemente l’eroina fa il suo dovere, contamina le mie facoltà percettive. Devo cambiare canale, ho sempre odiato questi programmi per bambini drogati di zucchero filato e filastrocche. Il notiziario, il solito morto. No, non è possibile. Kurt, anche tu non hai resistito alla tentazione. Ti sei guadagnato un posto nell’olimpo dei miti, con il tuo pullover extralarge, le tue grida di sofferenza e questa pallottola che ti sei ficcato in bocca. Buon viaggio per il tuo Nirvana personale. Io, combatto la morte con una spada che ha più difese. 


Luigi Formola 

sabato 16 novembre 2013

Il passo della morte sulla neve.





Aveva fissato la finestra a lungo.
Aspettava la neve! Bianca e candida.
Quando inizia a cadere copiosa ha strani modi di presentarsi in compagnia della morte. Bianca come la neve. Fredda come l'inverno e senza possibilità di rimandare l'incontro.
Aveva fissato la finestra a lungo.
Ha aspettato la neve! Come una luce che illumina l'intera stanza, il primo fiocco che s'intravede pone un sorriso sul suo volto.
E' pronto a partire.
Aveva fissato la finestra a lungo. Aveva aspettato la neve.
Sopraggiunto l'inverno può salutare tutto il mondo con un freddo che non sarà più terribile di un addio. Abbiamo bisogno di una luce per dirgli addio, e invece basta un sorriso che sovrasta il suo volto incredibilmente sereno. Un calore sovrumano pervade la stanza. E' andato via, senza neanche una ruga, ma ha definito la sua strada. Il suo futuro vivrà attraverso i suoi figlio. E può andare via.
Aveva fissato la finestra a lungo. Adesso è aperta, spalancata.
Può volare via liberamente. Una stasi d'aria. La neve smette di cadere per pochissimi secondi, e poi come un fiume in piena riprende la sua discesa verso la terra.

Ha aspettato che la neve rendesse visibili i passi leggeri della sua anima mentre si allontana dalla sua casa.

Luigi Formola

lunedì 4 novembre 2013

20Lines #07 : Prima di conoscerti.



Ero determinato. Io al centro della mia vita. Nessun'altro avrebbe avuto più importanza di me, della mia voglia di arrivare e della realizzazione personale.
Ero determinato. Tutto ha vacillato. Uno sguardo, una conversazione, risate che sono prodotte dai nostri ormoni che scalpitano per vincere sulla frivolezza di parole che ruotano intorno al corteggiamento.
L'orgoglio. La mia punta di diamante e la sterile convinzione umana di una pagina bianca da riempire da solo. Invece sul foglio della mia vita intravedo due linee che s’intersecano, che si sovrappongono, che non si fermano ai bordi scrivibili e vanno oltre. Sconfiggendo le ombre della paura di fare un percorso insieme.

Prima di conoscerti ero legato da un cordone ombelicale a senso unico con le mie idee. Ora c'è un flusso continuo di ogni atomo che sfreccia dai miei occhi ai tuoi. Un silenzio che costruisce monologhi. Adoro questa correlazione. Parte di una sola sostanza che può affondare e risalire con la semplicità che solo la forza di due individui possono mettere insieme. Insieme, una parola fobica. Era tale. Ora è la parola del domani, del futuro. Insieme. Tu ed io. Senza riserve di tempo e spazio. Ero determinato, sono determinato. Ad averti quanto più al lungo possibile nella mia vita.


LUIGI FORMOLA

martedì 29 ottobre 2013

Tutto ciò che è stato, alla fine torna.


Tutto ciò che scorre, può trasformarsi in qualsiasi altra materia diversa dalla sua origine. Essenzialmente può diventare sangue. Sangue che pulsa, che fa percorsi strani nelle nostre vene, che esce dal nostro corpo, che diventa crosta su cui costruire nuove esperienze, che diventa tappeto, rigorosamente rosso, al nostro abbandono alla realtà.
J. corre. Corre come se non ci fosse un domani. Mentre poggia i piedi su un percorso d’asfalto sfasato che gli cambia la percezione del contatto con la terra, pensa a quanto si sente vivo. Rimugina su quanto a lungo abbia lasciato sopita la sua voglia di essere eternamente giovane. Il brano nel suo I-pod scorre, proprio come il sangue nelle sue vene che sembra impazzito, non riesce a stabilizzarsi e quasi togli l’ossigeno al cervello.
J. non ha intenzione di fermarsi e lascia che quel suono cosi suadente s’ impossessi del proprio corpo, dei propri piedi, che vanno senza un punto d’arrivo.  Ha lasciato le preoccupazioni fuori dalla sua ora di libertà, lontano dal lavoro, dall’insostenibile peso delle smanie della moglie, dal ritmo frenetico di una citta come New York.  
La prontezza nei riflessi gli permette di evitare più volte d’inciampare nelle radici degli alberi che hanno sfaldato il sottile strato d’asfalto e che vogliono emergere e far prevalere la loro forza sulle opere messe in atto dall’uomo.
J. ,quando sta per giungere alla fine della sua corsa, si abbandona al silenzio ovattato proveniente dall’esterno in una pausa del brano. Vuole essere impavido, chiude gli occhi e percorre gli ultimi dieci metri alla cieca, vuole vivere l’ebrezza di essere guidato solo dai suoi piedi, mentre aumentano le pulsazioni del suo sangue. Preme sulle tempie come una pistola che sta per sparare il suo ultimo colpo.
Una fitta al cuore, J. sente la morte. Percepisce che è lì, maratoneta come lui, che è venuta a prenderlo per l’ultimo viaggio. Si gira di scatto e si trova di fronte un bambino che lo fissa come se non capisse quel gesto strano di una corsa a occhi chiusi. J, sente il cuore in gola, si piega poggiando le mani sulle proprie ginocchia come per prendere forza dalle sue gambe e ansimando fissa il bambino che ancora statuario non ha intenzione di andare via. Proprio come quando un gatto percepisce un pericolo e agitato non lascia lo sguardo dalla fonte della sua inquietudine. Forse il bambino è preoccupato che J. possa morire, che il suo gesto sia una predizione di morte.  
 J. pensa a suo figlio, avrebbe più o meno l’età di questo bambino oggi, e quasi gli somiglia con gli stessi occhi color notte. 
La notte. Non vuole ripensare alla notte in cui aveva perso suo figlio a causa di un fulmine in pieno buio, in pieno centro di New York, che distrugge la vita di un futuro in divenire, della sua stabilità mentale, e della sua vita matrimoniale.  In quell’occasione non ha visto il sangue padrone della scena, ma ha potuto annusare il suo odore, che invadeva l’aria, che volava via, insieme all’anima del suo bambino.

J. si volta con disinvoltura, non ha voglia di ripensare a quella storia. E’ consapevole che tutto ciò che è stato, alla fine torna, ma adesso vuole solo lavare via il senso di stanchezza. Rimette in play il brano che ascoltava prima dell’interruzione.
Giunge a casa, vuota. La moglie sarà sicuramente in giro ad alterare lo status del suo sangue ingerendo alcolici per rilevare dalla sua memoria gli innumerevoli brutti ricordi.
J. in bagno accende lo stereo . Buffo! Ritrova ancora quel brano, ormai ha capito che sarà la colonna sonora portante di questa giornata. Apre l’acqua calda e il vapore in pochi secondi copre la sua immagine riflessa. Con il palmo della mano pulisce uno spazio dello specchio per potersi rivedere. Alcune gocce di vapore colano sullo specchio proprio come delle lacrime che cadono, o delle gocce di sangue che scorgano. Ha voglia di radersi, è stufo di questa lunga barba nera che lo invecchia di almeno dieci anni. J. odia specchiarsi, ha gli stessi occhi di suo figlio. Milioni di volte è stato tentato di strapparseli, poi ha imparato a sostenere il suo stesso sguardo evitando che gli occhi si riempissero di lacrime.

Il brano incalza, arriva nuovamente alla parte finale, quella epica, in cui si prevede un colpo di scena. La rivelazione. O la rivoluzione. J. sente che è pronto a rivoluzionare la sua vita. La barba scompare, rivede il suo vero volto. Sangue. Sangue sulla sua gola. Un piccolo taglio deve aver reciso una vena. Il sangue è fluente, scorre su tutto il petto, passa per il cuore e segna un percorso fino al pube, e ancora giù per le gambe, i piedi e il pavimento. La terra. J. vede formarsi un piccolo tassello di rosso ai suoi piedi. Forse è in preda alla follia come capitò nei giorni seguenti la morte di suo figlio, ma interpreta quest’evento come un rito. Una purificazione. Il male è uscito dal suo corpo è stato versato ed è giunto sul pavimento. Sente di aver nuovamente un contatto diretto con la terraferma attraverso il sangue. J. sa cosa fare, deve far pulsare nuovamente il sangue nelle sue viscere e quelle di sua moglie. Deve dare un seguito a questa vicenda. Dal sangue perso può nascere nuovo sangue. Copulare, muoversi al ritmo sempre dello stesso brano. Arrivare, godere, sempre sul finale. Arrivare a costruire un futuro, una nuova vita. 

LUIGI FORMOLA

domenica 27 ottobre 2013

Dreamway Tales - Melissa (Video Ufficiale)




I ricordi sono i guardiani della nostra memoria. Ci assicurano che non dimenticheremo mai. Mai. Nessun’altra risposta giungerà alle nostre domande che resteranno sospese in un’aria che è putrida.

Melissa voleva trascorrere solo altri giorni felici. Voleva.
Melissa, vittima della terra dei fuochi.

giovedì 24 ottobre 2013

American Horror Story Coven. Episodio 3. SPOILER.



American Horror Story Coven. Episodio 3. SPOILER.
In quest'episodio si delineano i personaggi attraverso una serie di dialoghi fitti di lines superbe. 
Jessica Lange alias Fiona,  incanala una serie di battute che diventeranno le frasi più citate della stagione. "Questa congrega non ha bisogno di una nuova Suprema, ma di un nuovo tappeto",  "tutti quei doni, tutti quei poteri li ho incanalati dentro di me e li ho vestiti con abiti Chanel". 
Fiona, la Suprema, come anticipato nell'episodio pilota dimostra di essere il centro dell'intera serie. Intorno al suo ruolo orbitano tutte le storylines : Dalla razzista Madame dell'800, passando per le giovani streghe, fino ad arrivare al rapporto con la figlia, strega "sfigata" che fin'ora si è dimostrato il personaggio più debole essendo ripetutamente presentata come la paladina della magia bianca che vuole un figlio. Vuole un figlio. Vuole un figlio. L'abbiamo capito. Speriamo di vederla interagire con la Bigmotherfucker che è la madre. 

I dialoghi sono la salvezza della serie. Molto più controllata comparandola con le precedenti stagioni. L'apertura dell'episodio con il monologo sull'invecchiamento di Fiona, una piccola perla iniziale. "La notte sopraggiungerà quando la danza finirà". 


Madre/figlia, due anime tormentate da due obiettivi irraggiungibili. Fiona è stronza, ma è fortemente influenzata da tutta quella serie di rimandi estetici che circondano il mondo normale in cui è immersa. Teme il passare del tempo, e non sembra accettarne le conseguenze. Teme per il suo potere. E' temeraria, non molla la presa facilmente, e al termine dell'episodio,  la giovane Emma Roberts sarà la prima vittima. La giovana attrice è forte. Tremendamente forte. Ha tutto ciò che una futura Suprema deve possedere per aspirare al potere. Una situazione ciclica; come Fiona rubò il ruolo alla precendete guida delle streghe, allo stesso modo, Fiona sterminerà il futuro. Le nuove generazioni sono spietate, meglio eliminarle.

In breve, alcune genaliate viste in questi minuti di Coven, terzo episodio.
- L'indignazione di Madame Lalarie nell'ascoltare il discorso del Presidente Obama, that nigga, attraverso la scatola nera parlante.
- La danza della fertilità. Vodoo, vogliamo più Vodoo.
- L'incesto, tra il nostro Frankstein e la madre mi ha davvero fatto esclamare "Bleah". 
- La velocissima apparizione di Misty Day. Ripeto, Lily Rabe sarà la rivelazione di questa stagione. Quant'è brava ad interpretare questo ruolo? Ci sta troppo dentro.

La precedente quotazione su Zoe, interpretato da Taissa Farmiga, perde punti. Spero diventi una strega che imposta il proprio gioco e non vittima delle più forti, caratterialmente parlando.

See ya!
Luigi Formola 




mercoledì 23 ottobre 2013

20Lines #06: Quando ero piccolo...

Quando ero piccolo sedevo ogni pomeriggio al tavolo in cucina per fare i compiti. D'inverno era ancora più difficile concentrarsi sui libri che restavano per ore aperti sulla stessa pagina. Il calore della casa rendeva impossibile immaginare cosa succedeva fuori dalla finestra che assorbiva tutto il fiato sprecato da mia madre per farmi abbassare la testa per svolgere un' addizione o un problema. Si creava una condensa sul vetro della finestra che mescolava i miei sogni con numeri e lettere da imparare per la lezione del giorno dopo. La mia mente partiva via lontano, immaginando futuri ipotetici. Un giorno mentre mia madre si alternava tra le mie penne e le pentole per preparare la cena, come capitava spesso, m'incantai. Fissavo la fiamma del fornello che emanava un piccolo rumore di sottofondo. Distinguevo perfettamente il colore rosso che partiva dalla base fino al blu che sfumava sul fondo della padella. I miei occhi erano rapiti e portavano con se tutti i miei pensieri. Ero affascinato dal potere di una piccola fiamma; abbandonai i miei compiti e viaggiai avanti negli anni. Quando ero piccolo capii che una fiamma che brucia, una passione che arde è il senso della serenità. Quando ero piccolo ho scoperto la formula della felicità nella vita adulta. E adesso sono felice.


Luigi Formola

domenica 20 ottobre 2013

Orfani.









Contiene Spoiler. 


La prima serie a colori della Sergio Bonelli Editore.
"Orfani". Osservo la splendida copertina di Piccoli spaventati guerrieri, il numero uno, e leggendo il nome della testata risuona nella mente il modo cui è stato pronunciato da Roberto Recchioni, uno dei due creatori, durante un' intervista reperibile sul tubo. Epico. 
"Per primo arrivò il lampo". Un ritmo serrato, due vignette della tavola d'apertura per rappresentare la serenità, uno sguardo verso l'alto, e via. Siamo dentro l'apocalisse. Didascalie alternate che permettono un rapidissimo respiro per focalizzare il precipitare della scena. Per tutti coloro che hanno avuto un approccio graduale alla serie, essendosi documentati e consapevoli del contenuto, è nota la ragione dell'apocalisse, di questa fine del mondo. Immedesimandomi in un lettore che non ha conoscenze pregresse sulla serie firmata dal duo Recchioni/Mammucari, l'intera sequenza d'apertura pone il primo fondamentale quesito. Cosa diavolo è successo alla Terra?
Fade out/fade in. Proprio come accade nelle migliori serie televisive, il passaggio da una sequenza all'altra, con relativo cambio di location, viene presentato con un fade in dal nero. La precedente tavola si chiude con il grande splendore mostrandoci la sagrada familia coinvolta nell'esplosione.
Perché gli autori scelgono di mostrarci proprio la cattedrale barceloneta? Rientra nella collocazione spaziale. Come scopriremo nelle pagine successive, la storia narra le vicende di protagonisti geograficamente provenienti dalla Spagna o che hanno strette correlazioni con questo paese.
Dopo questo intensissimo incipit arriva il primo protagonista che implicitamente dice "Hey, sono una creatura nata dalla mente del Rrobe". La professoressa, a cui tocca la spiegazione del disastro avvenuto sulla Terra. Un attacco alieno. C'è qualcun altro nell'universo...e ci ha presi a calci nel culo!
La vera forza e il centro della storia, secondo la Professoressa, è stato un errore non calcolato dagli alieni. Un errore da parte dei nemici diventa il punto su cui costruire la difesa della terra. Loro, gli Orfani. Precisamente i bambini, che avendo perso tutte le figure genitoriali si trovano ad assumere atteggiamenti quasi da adulti. Il secondo interrogativo che ci pone la serie è : Perché i bambini non sono stati colpiti dal raggio di energia tachionica? Le questioni irrisolte ed inspiegabili sono state la fortuna di serie-tv, come l'inarrivabile Lost. Immaginate che noia se in questo primo capitolo della storia avessimo già avuto la risposta. La gabbia su cui è costruita la struttura narrativa di Orfani funziona. Funziona molto bene! 
Protagonisti della parte centrale sono proprio i piccoli spaventati guerrieri. 
Inevitabilmente si cade in alcuni cliché, che per fortuna sono consolidati positivamente nell'identificazione dei vari characters. L'essere umano ha bisogno di alcuni punti fermi, e in questa storia di fantascienza bellica ci sono tutti; ritroviamo il leader, il debole, il piccoletto, la bella, l'oppositore, e il panzone (Hugo Reyes docet).
Tutti gli Orfani hanno un grande potenziale narrativo. Ricollegandomi sempre a Lost, spero di ritrovare nel corso della prima serie brevi, brevissimi, episodi attraverso i quali conosciamo il loro passato. 
Come accennato in un'intervista da Emiliano Mammucari, l'altro ideatore della serie, ogni albo sarà suddiviso in due parti. La prima in cui sarà narrata la vicenda di formazione dei giovani soldati, la seconda come in un hard boiled movie, in cui ci saranno piombo e guerra senza respiro.
Formazione, una parole che sembra fuori luogo in un contesto come questo descritto, invece ricopre un ruolo preponderante nella scoperta introspettiva dei vari protagonisti. 
Mentre procedevo con la lettura ho percepito subito odore di William Golding e il suo romanzo (di formazione, appunto), Il Signore delle mosche
Similitudini con i protagonisti del romanzo? Ringo, il ribelle indisponente che si prende gioco di tutti, è paragonabile a Jack, lo scissionista dell'isola. Differentemente da quest'ultimo, Ringo mostra da subito di essere un protagonista positivo, lo si intuisce da come aiuta la piccola Sam,e dal ruolo che ricopre nella squadra nella seconda parte dell'albo.
Jonas, il leader silenzioso, ha la stessa determinazione di Ralph che lavora da subito per creare benefit per il gruppo. Il nostro Jonas capisce immediatamente che i sacrifici, anche umani, sono contemplati. 
Felix, con un ruolo molto più marginale rispetto al protagonista del romanzo di Golding è Piggy, buffo grassottello che media sempre per la pace. Peccato! In Orfani la pace non sembra cosi imminente, e il suo protagonista credo subirà notevoli mutamenti. O morirà.
La piccola Sam è identificabile con Simon. Silenziosa, strappata alle illusioni dell'infanzia. Diventerà una mocciosa davvero tosta.
Infine Rrobe mette in atto la regola numero uno per attrarre il lettore/spettatore. "Una storia non deve rassicurare, deve creare inquietudine". Roberto ha usato queste parole per riferirsi al nuovo corso di Dylan Dog di cui è attualmente il curatore editoriale, ma sono perfettamente trasportabili su Orfani. 
Vi dice niente il nome Hector? E' uno degli Orfani. Ci viene presentato come il vero leader; basti pensare che durante tutta la sua presenza nella storia cammina con un bastone come per tracciare un percorso, come una guida da seguire. E poi viene ucciso. Destabilizzante. 
Però, c'è un però. Nella buona tradizione del lasciare in sospeso, la sua morte non viene mostrata. Chi ci garantisce che sia realmente uscito di scena dopo poche pagine? Time will tell us

In definitiva Orfani rapisce. E fondamentale fa nascere milioni di quesiti. Cosa significa questo? Che gli autori hanno fatto centro. Big up per la nuova serie Bonelli. 

Luigi Formola

sabato 19 ottobre 2013

On Air! Cronaca di un debutto radiofonico (PARTE III)

Arrivai in anticipo e naturalmente il cielo volle ricordarmi che era contro di me. Il diluvio universale si era abbattuto su Roma nel tragitto tra casa e la sede della radio. Preso dai pensieri che continuavano a ripetersi in loop nella testa, avevo dimenticato di portare con me un ombrello, cosi dovetti aspettare che almeno non fossi colpito da gocce killer se fossi sceso dall'auto  Trascorse quasi un quarto d’ora e la pioggia aveva deciso che in questo braccio di ferro di pazienza tra noi due, avrebbe vinto lei. Sospirai e consapevole che mi sarei presentato come un pulcino nero bagnato al mio primo giorno di diretta, aprii la portiera e corsi verso gli studi radiofonici. Per mia somma fortuna risposero al citofono velocemente e cosi non mi bagnai troppo, anche se mi sentivo ugualmente impresentabile. Avevo curato l’abbigliamento e i capelli per questa Prima come non avevo mai fatto in precedenza. Tempo sprecato; i capelli ricci e ondulati si presentavano come una massa nera informe che mi copriva gli occhi. La positività però non mi aveva abbandonato, e rimuginando arrivai alla conclusione che in quel preciso istante era importante soltanto una cosa: la mia voce. Mentre salivo le scale, tossii per schiarirmi le corde vocali, come se provassi prima di avvicinarmi al microfono. Ero eccitatissimo. <<Lorenzo Forti, nuovo speaker di Dimensione Suono Roma>>. Entrai negli studi e ascoltai queste parole pronunciate da Camilla Fraschini che stava chiudendo la sua diretta e annunciava che oggi ci sarebbe stato il debutto di un giovane e talentuoso speaker, parole sue, in diretta dalle 15 alle 17. Entrare nello studio aveva annullato ogni preoccupazione, questa è sempre stata la mia carta vincente; anche prima di un esame avevo una miriade di ansie ma nel preciso istante in cui mi sedevo di fronte alla commissione per essere esaminato diventavo inspiegabilmente sereno. Anche questa volta mi sentii totalmente a mio agio solo al momento di agire ed evidenziare le mie capacità. Mi sentivo a casa come non mai. Alcune pareti dello studio, prevalentemente grigio, erano ricoperte da fasce rosse, un colore che mi ha sempre inquietato perché lo ricollego direttamente al sangue. L’ho sempre interpretato con un’accezione negativa. In quell’istante tutto assumeva però un nuovo significato, anche i colori. Quelle strisce rosse erano sinonimo di pulsione, di passione, ed erano quasi appaganti per la vista. Lo studio sulla cui porta capeggiava il simbolico on air, quello in cui sarei entrato in meno di un’ora per fare il mio primo lancio, era di colore grigio scuro con il classico rivestimento insonorizzato che contraddistingue molti ambienti in cui si fa musica, passando dalla radio fino agli studi di registrazione. << Ehi Lorenzo, allora sei pronto?>> Camilla aveva salutato i suoi ascoltatori e sorseggiando da una bottiglina d’acqua venne verso me. Aveva un viso davvero rassicurante, incorniciato dai suoi capelli neri corti, trasmetteva fiducia e solarità. Fui felice di aver incontrato lei prima di essere in onda. <<Abituati, qui sono sempre cosi caotici, ma è questo che fa di noi una grande famiglia>> disse Camilla sorridendomi. Preso dalla voglia di essere al microfono non avevo notato che ci fosse molto movimento, anzi quasi avevo annullato tutte le facce presenti. Tutti volti che avevo imparato a conoscere nel periodo di formazione in cui avevo frequentato gli studi di Dimensione Suono Roma. <<sei fortunato, sai?>> continuò Camilla, <<ad assisterti all'altro lato del mixer, nella regia, ci sarà Simone Fabiani, il tecnico che supervisiona anche ogni mia diretta. Attento però ti rinfaccerà a vita gli strafalcioni che farai nei primi giorni del programma. Io ne sono ancora vittima>>. Sorrisi anch'io mentre mi sentivo sempre più tranquillo. Tutta la direzione della radio aveva posto in me tanta fiducia, ed ero consapevole che un piccolo errore in diretta non avrebbe fatto saltare l’intera carriera. Sono i rischi del mestiere, come in qualsiasi campo sbagliando s’impara. <<Adesso vado, non voglio trascorrere mica tutta la giornata in queste quattro mura. In bocca al lupo, ti ascolterò in auto, Regola numero uno: sii te stesso, non cercare di imitare qualcun altro>> terminò Camilla. Mi salutò con un bacio sulla guancia e uscì dallo studio con naturalezza. Per lei essere una speaker ormai era diventato davvero un lavoro, e uscire dalla porta non significava chiudere un mondo per poi non rivederlo più. No! Quel mondo era reale, non spariva come i castelli di sabbia con l’arrivo di un’onda. Nulla era cancellato, tutto era registrato. E il proprio sogno diventava un lavoro come un altro, con le proprie gioie e le tante difficoltà. Come in un atto di fede io ero pronto ad accettare tutto senza timore, senza aver paura di pentirmene, mi prendevo tutto il pacchetto completo di scazzi e di allegria. <<Lorenzo, tieniti pronto. Eccoti la scaletta di oggi, tra mezz'ora si va in onda>>. Il tempo trascorreva in fretta. Conoscevo a memoria tutti gli stacchi delle due ore, tutte le finestre pubblicitarie. Ero pronto, non c’erano luci puntate si di me, ma in fondo potevo percepire un calore che m’inondava la pelle. Era il calore di sentirsi realizzati, di aver fatto centro. Il mio centro era Dimensione Suono Roma. Aprii la porta dello studio, tutto era al suo posto: la bottiglina d’acqua rigorosamente naturale per bere nelle pause, la scaletta da seguire come un dogma di vita, i fogli con i messaggi degli ascoltatori, ma soprattutto il microfono e le cuffie. Le indossai come avevo fatto poche ore prima a casa ed effettivamente non era poi tanto diverso. Mi avrebbero solo ascoltato un bel po’ di persone in più. Chiusi la porta, si accese il segnale on air, mi avvicinai al microfono, sospirai, parti il jingle, ed esordii: << Buon pomeriggio, qui Lorenzo Forti che vi parla, sono le quindici esatte, e devo dire che un Ottobre cosi freddo non l’avevo mai visto, credo neanche voi>>. Ero in onda. La mia onda perfetta che non cancellava nulla, ma che era pronta a costruire castelli di sabbia che non crollano perché sorretti dall'indistruttibile forza delle parole.

Luigi Formola

venerdì 18 ottobre 2013

On Air! Cronaca di un debutto radiofonico. (PARTE II)

Non ci fu alcun bisogno di ricercare la frequenza, era già tutto pronto per l’ascolto della frizzante voce di Viviana. Sapevo che in quella fascia oraria c’era sempre lei a Dimensione Suono Roma. Il suo modo di affrontare la diretta mi aveva sempre divertito, sentivo che era se stessa, che non impostava un tono di voce per crearsi un personaggio. Ascoltai pochi minuti e dopo poco mi strappò un sorriso per aver raccontato una di quelle classiche storie vere che hanno del paradossale, cui non vuoi credere, ma sei consapevole che possono accadere. Neanche lei poteva crederci e ne parlò più volte tra un brano musicale e un altro. Improvvisamente mi ricordai che in poche ore, mi sarei trovato in una situazione speculare in cui all'ascolto ci sarebbe potuto essere un altro come me, che sognava il mondo della radio e si rivedeva nelle parole, nel tono di voce, addirittura nelle pause dello speaker di turno. Sentii uno spiffero freddo entrare nella camera, non sapevo se era dovuto al pensiero appena passato o ad altro. Sobbalzai, mia madre mi posò la mano sulla spalla per destarmi dall'ascolto radiofonico. Totalmente immerso nel mondo delle parole via etere, non mi accorsi che fosse entrata, cosi reagii urlando avendo i nervi tesi.  Mi fissò come se fossi un alieno, poi comprese quello che era successo nei momenti precedenti al suo arrivo in camera e sorrise quasi con compassione, quasi come per rassicurarmi senza dire nemmeno parola. Subito dopo m’incitò a non urlare e di abbassare la voce poiché papà dormiva ancora. <<Lorenzo, che ci fai sveglio?>> mi fissò e aggiunse <<per di più ad ascoltare la radio, dovresti riposare>> e infine con il suo tono ironico che avevo ereditato anch'io  ma che in quegli istanti non mi apparteneva, mi punzecchiò e disse << stai controllando che Dimensione Suono Roma non scappi via? Tranquillo che aspettano solo te>>. Non ero più un ragazzino da molto tempo, ma anche a ventiquattro anni le parole di mia madre riuscivano sempre a tranquillizzarmi e sapevo che la giornata poteva solo migliorare. Le preoccupazioni mi avevano accompagnato nella notte, ma terminato il buio volevo dentro di me soltanto una dose massiccia di adrenalina per partire con uno sprint che non avrei dimenticato né io, né i miei colleghi e soprattutto gli ascoltatori.  Pronto a iniziare questa giornata storica le chiesi di prepararmi un caffè in doppia dose per destarmi e far sparire il sonno accumulato nelle ultime notti. Mia madre capì al volo che ero nuovamente positivo, cosi come sono soliti conoscermi tutti e si diresse in cucina, e dopo pochi minuti l’intero appartamento era pervaso di quell’odore che è sinonimo d’inizio giornata. Per me significava anche un nuovo lavoro, una vita diversa, quella che avevo sognato sin dai banchi del liceo. Il professore d’italiano era stato uno dei primi, anni addietro, a scoprire la mia capacità di saper reggere un discorso con tono di voce sicuro e, come lui stesso era solito dire, radiofonico. <<Lorenzo, tu non hai bisogno di studiare, perché sai sempre come cavartela e girarci intorno senza mai cogliere il centro dell’argomento. Almeno una volta rendimi felice, non imbastire il tuo spettacolo e semplicemente sfoglia i libri>>. Ovviamente non ascoltai mai i consigli del povero professore e all'esame di maturità riuscii ad ottenere come voto Settanta, probabilmente solo grazie al mio parlare e straparlare. Il consiglio fornitomi negli anni del liceo fu il primo di una lunga serie; durante i corsi all'università  soprattutto quelli della triennale, mi è stato ripetuto questo discorsetto diverse volte. Diventavo sempre più bravo mettendomi costantemente alla prova, ed ecco dove ero giunto. La doccia e il caffè preparato da mia madre mi avevano totalmente risvegliato. Ero pronto. La direzione che avevo sempre seguito per tanti anni adesso era la mia strada. Durante le visite precedenti alla sede della radio, per pianificare i dettagli della scaletta e per stabilire quale linea adottare per far si che fosse un programma seguito da molti, mi ero sempre sentito come Alice nel paese delle meraviglie. Tutto mi sembrava magico e quasi irreale, anche un semplice microfono che avevo visto e usato tante volte diventava un oggetto proveniente da un altro mondo. Questa volta era diverso, poiché si andava in scena. 


Luigi Formola

venerdì 11 ottobre 2013

American Horror Story : Coven.





Dov'eravamo rimasti alla fine della seconda stagione?

Questo è il primo interrogativo da non porsi quando si parla di American Horror Story, la serie televisiva incentrata su diverse tipologie di leggende horror del nuovo continente, ideata da Ryan Murphy nel 2011.
Nessun interrogativo sulla continuity della storia perché ogni stagione ha un inizio, una trama fitta di intrighi e una conclusione nell'arco delle puntante programmate. 

Quindi, dove eravamo rimasti?
Ad un nuovo inizio.
Quest'anno tutto si focalizza sulle STREGHE, un tema un pò caduto in disuso negli ultimi anni che ha visto il proliferarsi, e il riprodursi di lupi e vampiri. Due esempi sul tema di questa stagione provengono dello scorso decennio, e oltre: "Streghe" di Aaron Spelling e "Sabrina, vita da strega", che affrontano l'argomento in due modi totalmente diversi e poco credibili. 

Invece in Coven, si vuole da subito mettere in chiaro di cosa si parla, e di alcune banalità che si potrebbero riscontrare nel corso della storia. A farlo sono i personaggi stessi, soprattutto Zoe, il personaggio di Taissa Farmiga, assente nella seconda stagione, che come se parlasse direttamente a chi sta guardando la sua vicenda, dopo pochi minuti dall 'inizio dice "può sembrare un clichè. E' un clichè". Sappiamo che le streghe fanno pozioni, magie, e hanno doti particolari, e ce le ritroveremo nel corso della storia. Gli autori ci dicono apertamente di essere pronti a queste piccole banalità.
La sigla, da sempre è un punto forte della serie. Il tema musicale resta ancora una volta invariato, e ad accompagnarlo ci sono immagini molto meno cruente di Asylum, la seconda stagione, quasi ad anticiparci che questa stagione sarà meno splatter della precedente.
Questa idea però non fuga il rischio della crudeltà. 

L'apertura dell'episodio pilota con la straordinaria Kathy Bates a fare da padrona e un Flashback, direttamente da fine '800, ci presenta un personaggio, interprepato dalla Bates, che sicuramente farà parte della schiera dei cattivi. La forza di American Horror Story è sempre stata la continua evoluzione dei personaggi nel corso di vari episodi, quindi, noi aficionados siamo consapevoli che il Pilot può depistare su quelli che saranno i capisaldi della storia.
Ottima la discrepanza cromatica tra i Flashback e il presente. Come già abituati dalle precedenti stagioni, ancora una volta c'è la constante di colori caldi sui flashback (rosso, porpora, con una preponderanza di nero) e colori freddi per il presente, quasi asettici. La casa delle streghe ne è un perfetto esempio.
Personaggio rivelazione di Coven è Zoe, come anticipato interpretata da Taissa Farmiga. Per dirla very popular, ha finalmente cacciato le palle. Le hanno cucito addosso un personaggio che non sarà passivo come Violet della prima stagione. Dimostra nei 45 minuti del primo episodio di acquisire consapevolezza dei proprio poteri. 


Ryan Murphy, però ha giocato sporco. Si, ho storto un pò il naso quando ho intuito che nuovamente la storia d'amore di questa stagione si sarebbe sviluppato tra Taissa e Evan Peters (Tate, Kit). Far leva sui ricordi dello spettatore è fin troppo semplice, e tutti ci cascheremo facendo il tifo per i due. La scena del loro primo incontro richiama e cita "Romeo e Giuletta" di Buz Luhrmann. I due innamorati specularmente si incontrano e il loro primo sguardo si scambia attraverso una lastra di giacchio che li separa, proprio come per l'acquario per Romeo e Giulietta. 

Last, but not least, la regina (da sempre) della serie. Miss Jessica Lange.
 
Leggete bene. Sarà cattivissima, lo si intuisce da subito. Lei è la Suprema!!! La maggior parte della trama si svilupperà proprio sul rapporto Madre/Figlia tra la Suprema e la sua sottoposta, la figlia interpretata da una Sarah Paulson che è all'apice della sua bellezza (se non fosse chiaro, il cast quest'anno è sublime, con tutte queste fantastiche donne ad avvicendarsi).

E Lily Rabe, la suora indemoniata della seconda stagione? Ci è stata solo accennata la sua vicenda. Ma tornerà, e sarà carica di rabbia.
Non ci resta che seguire Coven, e non vi rovinate le sorprese della trama leggendo le anticipazioni.






Luigi Formola

giovedì 10 ottobre 2013

On Air! - Cronaca di un debutto radiofonico (PARTE I)

ON AIR!
Cronaca di un debutto radiofonico. 





Lorenzo sei in onda. L’idea di trovarmi impreparato al mio debutto mi stava logorando. Temevo di fare la classica figura di chi ha tutto sotto controllo, e poi in un nanosecondo si lascia sfuggire tutto di mano e al momento di dimostrare quanto valgono le proprie doti mostra invece solo i difetti. Avevo fissato il soffitto per tutta la notte e ancora non ero riuscito a definire cosa mi preoccupasse maggiormente. Scrutavo il vuoto e il buio come se dal nulla dovesse sopraggiungere una risposta che mi rendesse meno inquieto e che preventivamente mi appagasse. Non avevo nulla di cui preoccuparmi più del dovuto. L’ansia da prestazione faceva sentire il suo peso, ma oltre questa sensazione condivisa da milioni di persone non c’era null’altro che non avevo anticipatamente pianificato e preparato. Avevo curato la voce meticolosamente nelle ultime due settimane. Ovviamente non essendo un santone indiano, né avendo mai partecipato a nessuna danza della pioggia, non avevo previsto un Ottobre cosi rigido ma a tradire tutte le attese si erano uniti in forza, pioggia, vento e tempeste d’altri luoghi. D’altronde, non c’è bisogno di scomodare la veggenza magica per le previsioni del tempo, poiché neanche il semplice meteo televisivo questa volta aveva indovinato il repentino cambio di temperature. <<Avremo un autunno senza precedenti, caldo, quasi tropicale, una strage per tutti i raccolti della stagione>> dicevano gli annunciatori del meteo. Non si concretò neanche uno dei fattori fuoristagione preannunciati ed io ne fui una vittima. Dopo che mi era stato comunicato che avevo superato l’ultimo provino e che presto avrei avuto uno spazio nel palinsesto ritagliato su di me, ritrovai tutte le forze perse negli ultimi mesi e decisi di rimettermi in forma. Come se non bastasse curare solo la voce, iniziai a pensare che una tempra fisica fosse la carta vincente per affrontare due ore di diretta e cosi il primo giorno di corsa mi recai a Villa Borghese. Correndo, scrutavo il cielo e sembrava davvero un giorno quasi estivo, nessuna nuvola sovrastava Roma, ma dopo pochi passi un tuono infranse i miei sogni atletici. Da quell’istante il vento e la pioggia non mi hanno abbandonato. Tutti i pensieri del mese precedente si condensarono in quella notte prima del mio debutto lavorativo. Giravano e rigiravano nella testa sempre le solite quattro questioni: come fare il primo lancio, come gestire una telefonata in diretta, come coordinare un imprevisto e soprattutto, come presentarmi durante il mio esordio al microfono. Era inutile continuare a tormentarsi restando a letto, sapevo che il soffitto non avrebbe fornito nessuna di queste risposte, anche se avessi continuato a fissarlo per le seguenti tre ore. Mi alzai, e come da consuetudine nonostante fossero ancora le sei del mattino, stavo per schiacciare il pulsante on della radio. Questa volta non lo feci, complice anche l’orario. Iniziai a rigirare il telecomando dello stereo tra le mani lanciando sguardi furtivi come se mi trovassi catapultato in un film di Sergio Leone, e temessi che lo stereo per farmi uno scherzo potesse accendersi da solo. Ripensai a tutte le ore che avevo trascorso, senza mai annoiarmi, ascoltando musica, spot pubblicitari e notiziari flash. Ricordavo sempre gli orari del palinsesto e quale speaker avrei trovato se mi fossi sintonizzato su FM 101.9. La tentazione vinse sulla mia forza di volontà, cosi frugando nella scrivania in cerca delle cuffie, capii che sarebbe stato inutile privarmi di quella linfa vitale che è linfa non solo per le mie orecchie, ma per la mia stessa anima. Paradossalmente è come una droga di cui non ho mai potuto fare a meno. Ogni qualvolta ascolto una voce attraverso FM, sopraggiunge un vuoto allo stomaco che potrebbe collocarsi tra l’astinenza e il mal d’amore. Poco importa se sia un benefit per la persona, credo che questa sensazione, che sia essa positiva o negativa, t’imprime dentro l’idea che solo e soltanto quell’esperienza ti fa sentire vivo. Collegai silenziosamente le cuffie allo stereo e spinsi il tasto on

giovedì 26 settembre 2013

20 Lines #05: Salve le interessa un manoscritto?

Non era questo che mi aspettavo. Ho sudato anni per poter scrivere queste 245 pagine, non posso precipitare nel mondo reale dove tutto ha semplicemente valore di scambio. Pretendo che la mia opera sia degna di essere esposta pubblicamente in una libreria perché ha un valore, non perché ha avuto un prezzo di favore per essere parte del innumerevole massa di libri mai letti. Forse dovrei abbandonare questa visione edulcorata di scrittore che vuole emozionare, vuole far vivere innumerevoli vite ad innumerevoli altri lettori. Dovrei essere parte di questo Bussiness dove semplicemente conta avere una giusta copertina e nient'altro. Come si giunge ad essere amati per le parole scritte? Come si può vivere con il rimorso di aver venduto la propria arte? Quanto costa tutto questa messinscena? Secondo il simpaticissimo editore 1600 euro...con due copie omaggio. Spero che un giorno capirà che i libri vanno letti, non semplicemente pubblicati. Morirei a vedere marcire il mio lavoro su uno scaffale di una libreria senza mai muoversi di un singolo millimetro. No! No! No! Vado avanti, oggi ho un altro appuntamento con un altro editore. Spero di non ritrovarmi davanti il medesimo scenario.

Luigi Formola

martedì 24 settembre 2013

E' già cambiato.



"Resteremo in piedi per sempre, nonostante le difficoltà". Quante volte ce lo siamo ripetuti con noi stessi e con chi condivide un cammino insieme a noi.
"Proveremo ad andare avanti, riusciremo a recuperare". Qualcosa nella storia è già cambiato. Ci sono delle crepe.
"Mi dispiace, ognuno per la sua strada, magari un giorno ci rivederemo, chissà". E' Finita.

Ci siamo persi. Eppure credevamo in quel che facevamo più di noi stessi.
Come siamo arrivati a questo? Sentivamo l'adrenalina che ci percorreva tutto il corpo ed esplodeva con le nostra urla.
Ricordate il nostro primo incontro in quel bar? Parlavamo di un universo più grande di noi che non conoscevamo se non da lontano. Poi siamo esplosi, abbiamo vinto contro chi ci sputava da lontano, chi ti sorrideva per farti felice e poi ti considerava un perdente.

Diamanti. Abbiamo gettato via diamanti come bucce di noccioline. Abbiamo alimentato il nostro ego fino a non riconoscerlo più. Abbiamo ficcato il nostro naso dove non avremmo dovuto e siamo andati oltre in tutto ciò che ancora non avevamo sperimentato.
Siamo andati oltre. Ecco come siamo arrivati a questo.

Ma uno di noi ha sfidato tutto. Ha capito, oppure non ha intutito a ciò che andava incontro e si è catapultato da solo in azioni per cui servono le forze di 10 individui diversi.
Ha sorriso, ha indossato occhiali scuri di notte e ringraziato a dovere ogni qual volta c'è ne era bisogno. Era apprezzato, era amato, era acclamato. Era solo.

E noi? avevamo chiuso con la vita! Ci mancava un pezzo di noi stessi, e ci siamo abbandonati all'evidenza. Eravamo destinati a non vivere come sognavamo. Avevamo mogli, figli, compagne. Avevamo la solitudine.

Gli anni passano in fretta quando si aspetta solo un nuovo giorno di routine. Gli anni passano in fretta quando si passa da una parte all'altra del mondo ogni giorno. In ogni caso eravamo soli.

Non parlavamo mai del passato, ne si parlava di lui. Volevamo dimenticare il passato, ma non avevamo un futuro. Svuotati.

E' un bar per chi vuole dimenticare qualcosa questo dove ci siamo rinuiti e ripensandoci 15 anni prima era proprio li che tutto aveva avuto inizio poco più che ragazzini.
Un'altra birra, un'altro ricordo cancellato e più spazio per la solitudine.

Credi nei miracoli? in quell'istante ci credetti. Era Lui. Era vicino a noi dopo tanti anni.Era cambiato eppure i suoi occhi li riconoscevamo, erano come i nostri.Spenti.

"Sapete, Nessuno mai potrà capire che reggiamo un peso che è più pesante delle nostre stesse esistenze, nessuno mai saprà quello che abbiamo vissuto insieme tutti noi".

Il ricordo seguente sono solo tante luci.Luci e ancora luci e solo luci. Avevamo dimenticato che accecassero in questo modo. Eppure sappiamo di sentirci felici. Non siamo più soli.

lunedì 23 settembre 2013

Happiness is the way #4

Se tracci con il gesso una riga sul pavimento, è altrettanto difficile camminarci sopra che avanzare sulla più sottile delle funi. Eppure chiunque ci riesce tranquillamente perché non è pericoloso. Se fai finta che la fune non è altro che un disegno fatto con il gesso e l'aria intorno è il pavimento, riesci a procedere sicuro su tutte le funi del mondo.

Hermann Hesse

mercoledì 18 settembre 2013

Sull'orlo di un precipizio.

Siamo ritti sull'orlo del precipizio, guardiamo giù nell'abisso, ci sentiamo sofferenti e storditi. 
Il primo impulso è quello di sfuggire al pericolo, ma inspiegabilmente restiamo.
A poco a poco il nostro malessere, lo stordimento, l'orrore si confondono in una nube di sensazioni indefinite.
La nostra nuvola sull'orlo del precipizio diventa una forma palpabile, molto più terribile di qualsiasi demonio dei racconti, nonostante sia solo un pensiero, anche se spaventoso e tale da farci gelare fino al midollo delle ossa con il fascino feroce del suo orrore.
E' soltanto l'idea di quello che realmente sentiremmo nella rovinosa caduta da tanta altezza. 
Questo precipitare, questo travolgente annullarsi, proprio perché suscita le più odiose e spaventose tra tutte le odiose e spaventose immagini della morte e della sofferenza che si siano mai affacciate alla nostra immaginazione, proprio per questo motivo noi lo desideriamo più intensamente. 
Poiché la ragione cerca con ogni mezzo di tenerci lontano dal precipizio, proprio per questo noi inesorabilmente ci avviciniamo ad esso.
Non c'è in natura una passione più diabolicamente impaziente di quella di colui che, tremando sull'orlo di un precipizio, medita di gettarvisi. 
Se indulgiamo un istante ad un qualsiasi tentativo di pensare siamo perduti: perché la riflessione ci spinge ad astenerci e proprio per questo, ripeto, non lo possiamo. 
Se non c'è un braccio amico che ci arresti o se non siamo in grado di tirarci indietro dall'abisso, ci lanciamo a capofitto e siamo distrutti.

lunedì 16 settembre 2013

20 Lines : #04. Angeli Custodi

"Le nostre vita saranno cancellate e dimenticate come queste orme nella sabbia?". Giacomo era nuovamente sovrappensiero e confuso. Francesco odiava dover vedere il suo giovane protetto perdersi tra domande sempre più difficile da rispondere poiché ogni dubbio non risolto faceva montare la rabbia e le solite botte. "Non è cosi semplice Giacomo" disse Francesco mentre l'agitarsi del mare gli bagnava i piedi con un ritmo sempre più veloce. "Vedi, il mare è come una memoria. Tu pensi che stia cancellando i tuoi passi, ma sta soltanto immagazzinando dentro di se tutto ciò che hai vissuto finora diventando parte del mare, del mondo. Nulla va dimenticato". Cercava lo sguardo di Giacomo per fargli arrivare dritto al cuore la sua piccola idea di memoria storica. "Un giorno lontano quando io, tu, tutti quelli che conosciamo non ci saranno più, avranno idea di questi tuoi piccoli passi, perché anche loro vivranno una vita come la tua. Piena di difficoltà e costellata di giorni in cui non riesci a vedere un futuro. Verranno su questa spiaggia, e proprio come stiamo facendo in questo preciso istante io e te, cammineranno. E camminando andranno a ricalcare i nostri passi, e allora sapranno che tu, giovane Giacomo sei stato qui e avranno consapevolezza della tua storia". Giacomo era rapito da quelle parole cosi radicate in un qualcosa di non tangibile; incrociò le braccia al suo petto per ripararsi dal vento che adesso faceva sentire con prepotenza la sua presenza e pronunciò le parole che fecero ridestare Francesco. "Quindi, un giorno lontano, quando tutto il mondo sarà diverso e stenteremo a riconoscerlo, anch'io sarò un angelo. Proprio come sei tu per me Francesco. Sarò un angelo buono che aiuterà altre persone attraverso i miei passi impressi sulla sabbia". Non ricorda se era solo per il vento o per le parole che gli avevano punto gli occhi con degli spilloni solleticando le sue emozioni, ma Francesco aveva il viso rigato di lacrime. Aveva avuto l'ennesima conferma di quanto far tornare Giacomo alla vita vera, fuori da quella comunità fosse per lui una missione vitale. "Francesco, voglio vivere. Voglio vivere tanto, e tornare ogni giorno qui su questa spiaggia, perché devo far sì che il mare sappia tutte le mie novità. Voglio vivere e fare in modo che anche chi un giorno tornerà su questa spiaggia avrà la forza di reagire, proprio come hai fatto tu con me". Il vento era diventato insostenibile; Francesco abbraccio Giacomo dandogli un bacio sulla testa e rientrarono. Il mare per oggi aveva appreso fin troppo dalle loro vite. 


Luigi Formola

venerdì 13 settembre 2013

Dopo il Disordine.

Tutti, prima o poi, risorgiamo.
Io sono risorto da un qualcosa che non credevo più di avere. Partendo dalla mia arte. Si, la mia è un' ARTE! Ci sono pochi modi per poter raccontare quello che sono capace di mettere insieme e in quattro lettere si può racchiudere in ARTE. Non qualcosa che sia presuntuosamente qualitativo, ma che almeno sia capace di catturare l'attenzione di chi è all'ascolto o alla lettura. Da sempre mi chiedo per cosa sia nato. L'ho sempre saputo. Lo stai leggendo in questo preciso istante. Sono nato per raccontare ogni singolo evento che mi capita a tiro, poco importa se sia realmente capitato a me, se mi sia stato raccontato da amici o da sconosciuti in un momento di confessione liberatoria. Vivo di questo, e questo è il mio obiettivo! Voler vivere di racconti, che essi siano narrati in rima attraverso una canzone o su lunghe e descrittive pagine. Non m'importa se chi condivide con me questo viaggio non stia correndo sulla mia stessa rotaia. Io ho bisogno di sentirmi libero imprimendo, giorno dopo giorno, delle parole su carta. Non è la notorietà che ricerco, ma l'empatia di chi guardandomi negli occhi, con un semplice cenno del capo in segno di assenso, mi fa arrivare la condivisione delle mie idee, che automaticamente accettate da un'altra persone diventano le nostre idee. Cosa mi aspetto dopo questo Disordine? Forse tutto, forse niente. Oggi ho avuto l'ennesima conferma che non tutti corriamo repentinamente su quelle rotaie che improvvisamente possono diventare infuocate come un Tread in un forum. Non tutti abbiamo la stessa lunghezza d'onda. Ma che sia chiaro io voglio, e non uso l'espressione vorrei perché il condizionale è fuori dal mio campo d'opzione, ripeto io voglio, vivere di questa arte. Non m'importa di attrarre a me orde di ormoni che emanano spasmi alla mia vista. M'interessa che tu mi ascolti o mi legga e dica "Cazzo! questo c'ha pienamente ragione!". E non m'importa neanche se verrò giudicato Mainstream, io ho voglia, sento l'esigenza, di scrivere di eventi che segnano la nostra vita, quelli di tutti. E ripeto mi rivolgo ancora una volta ai miei compagni di viaggio, al costo di sacrificare ciò che ho più caro della mia stessa vita, se si continua con quest'incontrollabile declino di responsabilità verso qualcosa che abbiamo costruito nel corso degli anni, sarò costretto a rinunciare a tutto il nostro mondo. Ci perderò io, ci perderete voi, non ci guadagnerà nessuno, ma non resterò in balia di un nulla che portiamo avanti da troppo, troppo tempo. Sono stanco di aspettare la fine dei miei giorni. Preferisco morire, risorgere, e riscrivere ancora una volta tutto da capo. Abbiamo bisogno di fede in quello che facciamo, ma se trovo solo un deserto d'intenzioni a dare spazio al mio domani sarò costretto, anche controvoglia a cercare una nuova direzione. Dicevo il dopo Disordine? Un nuovo Disordine. Diverso, ma pur sempre Disordine. Tutto dipende da quanto sia condivisibile questo gioco delle parti in cui non tutti hanno lo stesso ruolo. Io, consapevole del mio essere, conosco come voglio trascorrere i miei giorni.. E voi? Interrogatevi fino a distruggervi l'anima.

Luigi Formola

martedì 10 settembre 2013

Happiness is the way #3

S'è vero che in ogni amico v'è un nemico che sonnecchia, non potrebbe darsi che in ogni nemico vi sia un amico che aspetta la sua ora? 


Giovanni Papini

mercoledì 4 settembre 2013

20 Lines : 03. Il matto.

Teo ripose tutti gli attrezzi del mestiere. Era soddisfatto. "24 mesi di sole e gioia saranno la mia cura" pensò. Poi mentre distrattamente chiudeva la scatola con le tempre colorate il suo sguardo fu magneticamente catturato dal suo riflesso nel specchio. "Ma chi voglio ingannare, anche con il sole Annina non tornerà di certo in vita", Teo se lo ripeteva ad alta voce fissando se stesso nello specchio come fanno spesso alcuni attori teatrali per calarsi nella parte. "I colori non saranno efficaci sulla mia anima, e il sole della primavera e dell'estate potrà riscaldare solo la mia pelle. Null'altro".Iniziarono a trascorrere le settimane e questa frase continuava a ronzargli nella testa, rimbalzando da una tempia all'altra attraverso i circuiti neuronali. Estate, Primavera e poi di nuovo Estate. Il suo giardino era totalmente bruciato al sole e iniziava ad esserci carenza di acqua. Fissò quel calendario, l'ultimo che aveva fatto ormai più di dodici mesi prima e gli sembrò che nulla avesse più senso. Tornò allo specchio dove la sua gioia si era trasformata in sconfitta. Prese il colore nero e disegno sulla sua fronte una T, quella del suo nome, Teo. Era matto in fondo. Ad un tratto si accorse che rappresentava molto di più una croce, e come un segno rivelatore si inginocchiò e cominciò a pregare come non aveva mai fatto in vita sua. Ogni preghiera una lacrima, poi un insulto, infine montò la rabbia e la riversò sugli scaffali dove era riposto il lavoro di una vita. Sul pavimento milioni di colori,di cartoncini e di calendari multiforme. Si bloccò.Teo si bloccò. E si bloccò nel preciso istante in cui vide il calendario decorato l'anno in cui conobbe Annina.Si bloccò e capì da dove doveva ripartire.Proprio da quell'anno."Se ho bloccato il tempo delle stagioni, posso tornare anche indietro con gli anni".Si rimise all'opera e ricreò il calendario di quell'anno. Lei l'aspettava.