mercoledì 18 settembre 2013

Sull'orlo di un precipizio.

Siamo ritti sull'orlo del precipizio, guardiamo giù nell'abisso, ci sentiamo sofferenti e storditi. 
Il primo impulso è quello di sfuggire al pericolo, ma inspiegabilmente restiamo.
A poco a poco il nostro malessere, lo stordimento, l'orrore si confondono in una nube di sensazioni indefinite.
La nostra nuvola sull'orlo del precipizio diventa una forma palpabile, molto più terribile di qualsiasi demonio dei racconti, nonostante sia solo un pensiero, anche se spaventoso e tale da farci gelare fino al midollo delle ossa con il fascino feroce del suo orrore.
E' soltanto l'idea di quello che realmente sentiremmo nella rovinosa caduta da tanta altezza. 
Questo precipitare, questo travolgente annullarsi, proprio perché suscita le più odiose e spaventose tra tutte le odiose e spaventose immagini della morte e della sofferenza che si siano mai affacciate alla nostra immaginazione, proprio per questo motivo noi lo desideriamo più intensamente. 
Poiché la ragione cerca con ogni mezzo di tenerci lontano dal precipizio, proprio per questo noi inesorabilmente ci avviciniamo ad esso.
Non c'è in natura una passione più diabolicamente impaziente di quella di colui che, tremando sull'orlo di un precipizio, medita di gettarvisi. 
Se indulgiamo un istante ad un qualsiasi tentativo di pensare siamo perduti: perché la riflessione ci spinge ad astenerci e proprio per questo, ripeto, non lo possiamo. 
Se non c'è un braccio amico che ci arresti o se non siamo in grado di tirarci indietro dall'abisso, ci lanciamo a capofitto e siamo distrutti.

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