Tutto ciò che scorre, può trasformarsi in qualsiasi altra materia
diversa dalla sua origine. Essenzialmente può diventare sangue. Sangue che
pulsa, che fa percorsi strani nelle nostre vene, che esce dal nostro corpo, che
diventa crosta su cui costruire nuove esperienze, che diventa tappeto,
rigorosamente rosso, al nostro abbandono alla realtà.
J. corre. Corre come se non ci fosse un domani. Mentre
poggia i piedi su un percorso d’asfalto sfasato che gli cambia la percezione
del contatto con la terra, pensa a quanto si sente vivo. Rimugina su quanto a
lungo abbia lasciato sopita la sua voglia di essere eternamente giovane. Il
brano nel suo I-pod scorre, proprio come il sangue nelle sue vene che sembra
impazzito, non riesce a stabilizzarsi e quasi togli l’ossigeno al cervello.
J. non ha intenzione di fermarsi e lascia che quel suono
cosi suadente s’ impossessi del proprio corpo, dei propri piedi, che vanno
senza un punto d’arrivo. Ha lasciato le
preoccupazioni fuori dalla sua ora di libertà, lontano dal lavoro, dall’insostenibile
peso delle smanie della moglie, dal ritmo frenetico di una citta come New York.
La prontezza nei riflessi gli permette di evitare più volte
d’inciampare nelle radici degli alberi che hanno sfaldato il sottile strato d’asfalto
e che vogliono emergere e far prevalere la loro forza sulle opere messe in atto
dall’uomo.
J. ,quando sta per giungere alla fine della sua corsa, si
abbandona al silenzio ovattato proveniente dall’esterno in una pausa del brano.
Vuole essere impavido, chiude gli occhi e percorre gli ultimi dieci metri alla
cieca, vuole vivere l’ebrezza di essere guidato solo dai suoi piedi, mentre aumentano
le pulsazioni del suo sangue. Preme sulle tempie come una pistola che sta per
sparare il suo ultimo colpo.
Una fitta al cuore, J. sente la morte. Percepisce che è lì, maratoneta
come lui, che è venuta a prenderlo per l’ultimo viaggio. Si gira di scatto e si
trova di fronte un bambino che lo fissa come se non capisse quel gesto strano
di una corsa a occhi chiusi. J, sente il cuore in gola, si piega poggiando le
mani sulle proprie ginocchia come per prendere forza dalle sue gambe e
ansimando fissa il bambino che ancora statuario non ha intenzione di andare
via. Proprio come quando un gatto percepisce un pericolo e agitato non lascia
lo sguardo dalla fonte della sua inquietudine. Forse il bambino è preoccupato
che J. possa morire, che il suo gesto sia una predizione di morte.
J. pensa a suo
figlio, avrebbe più o meno l’età di questo bambino oggi, e quasi gli somiglia
con gli stessi occhi color notte.
La notte. Non vuole ripensare alla notte in cui aveva perso suo figlio a causa
di un fulmine in pieno buio, in pieno centro di New York, che distrugge la vita
di un futuro in divenire, della sua stabilità mentale, e della sua vita
matrimoniale. In quell’occasione non ha
visto il sangue padrone della scena, ma ha potuto annusare il suo odore, che
invadeva l’aria, che volava via, insieme all’anima del suo bambino.
J. si volta con disinvoltura, non ha voglia di ripensare a
quella storia. E’ consapevole che tutto ciò che è stato, alla fine torna, ma
adesso vuole solo lavare via il senso di stanchezza. Rimette in play il brano
che ascoltava prima dell’interruzione.
Giunge a casa, vuota. La moglie sarà sicuramente in giro ad
alterare lo status del suo sangue ingerendo alcolici per rilevare dalla sua
memoria gli innumerevoli brutti ricordi.
J. in bagno accende lo stereo . Buffo! Ritrova ancora quel
brano, ormai ha capito che sarà la colonna sonora portante di questa giornata. Apre
l’acqua calda e il vapore in pochi secondi copre la sua immagine riflessa. Con
il palmo della mano pulisce uno spazio dello specchio per potersi rivedere. Alcune
gocce di vapore colano sullo specchio proprio come delle lacrime che cadono, o
delle gocce di sangue che scorgano. Ha voglia di radersi, è stufo di questa lunga
barba nera che lo invecchia di almeno dieci anni. J. odia specchiarsi, ha gli
stessi occhi di suo figlio. Milioni di volte è stato tentato di strapparseli, poi
ha imparato a sostenere il suo stesso sguardo evitando che gli occhi si
riempissero di lacrime.
Il brano incalza, arriva nuovamente alla parte finale,
quella epica, in cui si prevede un colpo di scena. La rivelazione. O la
rivoluzione. J. sente che è pronto a rivoluzionare la sua vita. La barba
scompare, rivede il suo vero volto. Sangue. Sangue sulla sua gola. Un piccolo
taglio deve aver reciso una vena. Il sangue è fluente, scorre su tutto il
petto, passa per il cuore e segna un percorso fino al pube, e ancora giù per le
gambe, i piedi e il pavimento. La terra. J. vede formarsi un piccolo tassello
di rosso ai suoi piedi. Forse è in preda alla follia come capitò nei giorni
seguenti la morte di suo figlio, ma interpreta quest’evento come un rito. Una
purificazione. Il male è uscito dal suo corpo è stato versato ed è giunto sul
pavimento. Sente di aver nuovamente un contatto diretto con la terraferma
attraverso il sangue. J. sa cosa fare, deve far pulsare nuovamente il sangue
nelle sue viscere e quelle di sua moglie. Deve dare un seguito a questa
vicenda. Dal sangue perso può nascere nuovo sangue. Copulare, muoversi al ritmo
sempre dello stesso brano. Arrivare, godere, sempre sul finale. Arrivare a
costruire un futuro, una nuova vita.
LUIGI FORMOLA
LUIGI FORMOLA