<<Il prossimo libro lo scelgo io>>
sbottò Carlotta. Aveva divorato rapidamente la sua fetta di cheesecake per non
proferire parola fino alla fine della lettura del capitolo.
Evidentemente quel libro era stato scelto come
chiaro riferimento per la sua situazione. E discutere di un suo problema
davanti ad altre signore non era nelle sue intenzioni. Virginia, sua sorella
maggiore la pensava diversamente.
<< Cecità espone tutti gli errori commessi
dal genere umano, dimostra che forse si può tornare sui propri passi>>.
Saramago centrava poco in quella discussione. Virginia stava parlando
apertamente al cuore della sorella.
Lei lo capì, e le chiese di parlarle in disparte,
in cucina con la banale scusa di mettere sul fuoco l’acqua per il thè. Il suo
pensiero non era condivisibile con le filosofeggianti signore del club del
libro.
<< Allora, mi dici qual è il tuo
problema?>>.
<< Lo sai bene, quel livido sul braccio non è
spuntato dal nulla. Tu sei cieca, Carlotta!>>.
Virginia si accese una sigaretta, e mise sul fuoco
la teiera. Era tranquilla, nonostante la situazione della sorella era una
piccola goccia nel suo mare di ansie.
<< Cazzo Virginia, sei patetica. Non sei mia
madre>>.
<< E lui non è tuo padre>>, la
interruppe Virginia.
<< Non capisco quale sia il problema. Mi sono
innamorata di un uomo maturo>>. Anche Carlotta si accese una sigaretta.
<< Maturo, che eufemismo. Dovresti dire un
uomo di sessant’anni che non ha fatto nulla per tutta la sua vita e che adesso
trascorre le sue giornate tra il bar e la distanza che lo separa dalla
slotmachine sul retro>>.
Carlotta fumò così intensamente che in una sola
boccata era quasi giunta al filtro. La spense con nervosismo nel posacenere.
Virginia aveva ragione, e Carlotta in fondo lo sapeva. Quel livido era la
richiesta di altri soldi.
<<Strano, non hai evidenziato che è il padre
di tuo marito>>.
La voce carica di rabbia di Carlotta subì una
flessione. <<Oscar non è perfetto, ma io lo amo>>.
Virginia spense anche lei la sigaretta, aveva sfondato
una barriera imposta dalla sorella, e incurante che nell’altra stanza ci
fossero altre tre persone che aspettassero una fumante tazza di thè, decise di
cercare uno spiraglio di luce.
<< Io so cosa pensi, ma ti assicuro che non
ho cercato una figura paterna, ma un uomo d’amare>>.
In pochi secondi un’altra goccia si aggiunse al
mare di ansie di Virginia. Tornarono a galla come piccole macchie d’olio, tutti
gli anni trascorsi a prendersi cura di sua sorella dopo la morte dei genitori.
Era stata madre prima del tempo, senza volerlo. Prima d’incontrare Paolo, e
prima ancora che la vita di Stefania e Alessandro passasse per il suo stesso
corpo.
Il suono stridulo del citofono distolse l’intimità
delle due sorelle.
Probabilmente era Paolo, come ogni Lunedi sera
giocava a calcetto. Con Marco. Una pulsione s’insinuò tra il mare di pensieri
di Virginia, e tutta l’acqua del mondo non sarebbe stata sufficiente a
spegnerla. Era sempre un piacere vedere Marco, un docente d’educazione fisica
della sua scuola, e amico di Paolo.
Se vuoi che un tradimento passi inosservato, porta
in casa l’altro uomo. Virginia lo sapeva bene, ma i suoi tentativi erano vani.
Marco era di palato fine, e strizzava gli occhi per le ragazzine e non per una
cinquantenne.
Virginia invitava sempre più spesso Marco a casa
per cena, con la scusa di propinare qualche nuovo piatto di suo marito. Paolo,
in arte Chef Pablo, da quando conduceva un nuovo programma di cucina in
televisione era alla ricerca di nuovi gusti. Proprio come Virginia.
Nuovamente suonò il citofono. Non era Paolo.
Virginia non aveva considerato che con il traffico era impossibile essere a
Garbatella già a quell’ora.
Era Stefania, con una sua nuova amica, Marica. Per
nulla raccomandabile.
Virginia la conosceva bene, era finita nella sua
presidenza innumerevoli volte. E Stefania aveva capito. La regola non valeva
solo per sua madre. Porta in casa il nemico. Marica era ormai frequentatrice
abituale della casa e la faccenda proprio non piaceva a Virginia.
<<Ammettetelo frigidelle, leggete cinquanta
sfumature di grigio immaginando scopate che mai farete>>. Un esordio
niente male per fare pessima impressione. Indignate, le signore del libro
decisero che era ora di andare. Marica, senza scusarsi non disse null’altro e
raggiunse Stefania che entrando in casa si precipitò in camera.
Stefania era cambiata e Virginia aveva notato i
cambiamenti. Normali per una ragazza di sedici anni. Preoccupanti se paragonati
a tutti i casini che aveva commesso in pochi mesi. Era tornata spesso ubriaca,
ed era stata beccata dal padre con dell’erba in borsa.
La colpa era di Alessandro.
La risposta a qualsiasi domanda, per Stefania la
colpa era sempre di Alessandro.
Non sopportava tutte le attenzioni che riservavano
al fratellino di dieci anni. Muto, dalla nascita.
L’ultima volta che cercò di parlare con i genitori,
tra urla senza senso Stefania disse << Voi vi odiate, fingete di stare
bene insieme solo per non destabilizzare il piccoletto. Anche un cazzo di cane
gli avete comprato>>.
Da quel momento Virginia e Paolo tenevano
l’argomento quanto più lontano possibile. Virginia si era innamorata di Marco,
Paolo probabilmente scopava allegramente con qualche collaboratrice della sua
redazione e nonostante tutto giocavano alla famiglia felice.
Carlotta aveva cercato anche lei di dare una mano.
Stefania sputava veleno su tutto e su tutti.
<< Tu succhi il cazzo moscio del nonno>>, uno schiaffo chiuse del
tutto l’argomento.
Nessuno parlava, solo Alessandro comunicava con il
suo grande sorriso. Eppure era l’unico senza il dono della parola.
Voleva bene a sua sorella, ai suoi genitori, a
Bobby, il suo cane.
Abbaiava.
Erano tornati dalla partita di calcetto. Paolo
credeva che tenere lontano Alessandro dalle tensioni della casa, avrebbe fatto
bene al piccolo. E soprattutto a se stesso. Meno tempo trascorreva in famiglia
più allontanava l’idea che tutto andasse male.
Bobby abbaiava. Più del solito. L’aria serale doveva
aver smosso la voglia di vivere, almeno al cane.
Paolo salutò fugacemente Carlotta. L’idea che avesse
una relazione con il padre gli dava il voltastomaco. Tanto più se non era stata
in grado di fargli perdere le vecchie brutte abitudini.
Alessandro sorrideva. Come sempre. Era già al
tavolo a disegnare un enorme campo da calcio. La fantasia amplificava le
piccolezze in cui era immerso.
Virginia allungava il collo oltre la porta. Bobby,
Alessandro, Paolo. Nessuna traccia di Marco.
Chiedere apertamente dove fosse, era quasi una
confessione a cuore aperto. E lo fece.
Ha saltato l’appuntamento alla partita. Un impegno
inderogabile aveva detto.
Qualche cagnetta da soddisfare, fu la prima e unica
riflessione di Virginia. Pensando a Marco perdeva tutta la sua rigidità da
preside e si trasformava in una produttrice di pensieri della peggiore
categoria.
Bobby abbaiava ancora. Si diresse in camera di
Stefania.
<< Fermo>> un’unica parola gridata da
Stefania. Poi il silenzio. Le ragazze aspettavano la reazione a catena che
sarebbe seguita di lì a poco.
Bobby non abbaiava più. Alessandro aveva quasi
finito il suo disegno. Un campo da calcio fantastico, circondando da animali
che non erano visibili a un occhio distratto. Cicale, gufi e pipistrelli.
Una fotografia. Bobby la posò con il muso sul tavolo, sovrastando il disegno di
Alessandro e infrangendo per sempre la sua infanzia. I denti che sorreggevano
il sorriso di Alessandro divennero sempre meno visibili con la comprensione di
quella fotografia.
Lacrime, gocce di dolore e d’amore premevano sugli
occhi di Alessandro. Basta sorridere, avrebbe voluto gridare. Se solo la voce
fosse stata dalla sua parte. Invece l’immagine divenne sempre più sfocata
davanti ai suoi occhi. Alterata dalle lacrime, si convinse che fosse un sogno.
Virginia si avvicinò. Carezzò la testa al figlio e
vide. La sua famiglia distrutta per sempre.
Marco, Stefania, Marica. Non s’intuiva, dove
finisse il corpo dell’uno e dell’altro. Nudi, su un letto.
Virginia pianse restando alle spalle del piccolo
Alessandro che adesso poggiava la testa sul tavolo per scacciare dalla sua
mente forme del corpo umano che non credeva potessero esistere.
Virginia piangeva, non per sua figlia, né per
Marco. Piangeva perché nonostante il marciume trasmesso da quell’immagine,
vedeva tre persone felici e saldamente attaccate alla vita.
LUIGI FORMOLA