domenica 15 giugno 2014

Three is a deadly number. (PARTE I)



Un suono assordante che rappresentava la salvezza. La sirena di una nave in arrivo era il biglietto per dimenticare l’incubo in cui erano precipitati. I Docks londinesi non erano mai stati cosi bui e sommersi in una nebbia d’altri tempi. Thomas guardava ancora quel corpo stramazzato al suolo. Meriem tremava come una foglia, era riuscita a piantare un coltello nel suo cuore. Nel cuore di Jack. L’avevano cercato per tanto tempo, e il tempo l’aveva trasformato in un mostro. Relegato in un manicomio criminale, Jack, aveva subito violenze che si accumulavano al dolore di un abbandono. Era cattivo. La rabbia, l’alessitimia e un’innata follia erano gli unici compagni di viaggio tra quattro mura. “Hai dovuto farlo, non avevi alcuna scelta”, Thomas cercava di placare il tremolio di Meriem. Il suo corpo era senza controllo, e il freddo di una notte di Gennaio non era d’aiuto. “La nave sta attraccando, ci sarà sicuramente un ufficiale a bordo, chiameranno loro la polizia”. Le parole di Thomas non sortivano alcun effetto. Erano usciti da un incubo, soltanto grazie ad una morte. Perché erano giunti a uccidere Jack? Meriem non riusciva a focalizzare tutto il male e le pressioni subite da Jack negli ultimi mesi. Riusciva soltanto a fissare quel corpo senza vita e tutto il sangue che aveva ricoperto la banchina e si riversava nell’acqua del Tamigi. L’umidità creava un sottile strato di goccioline d’acqua sui volti di Thomas e Meriem, le lacrime si nascondevano bene. I singhiozzi stroncati di Meriem un po’ meno. Stava cedendo, la tensione calava e la nave era quasi approdata. Soltanto alcuni minuti di attesa e sarebbero tornati a vivere le loro vite. Le loro esistenze in cui la costante era il numero due e non il tre. Due, come loro. Thomas e Meriem Black. Gemelli che sentivano da sempre una parte mancante nella loro esistenza. Erano cresciuti sempre insieme, costruendo il loro futuro in una piccola bottega di antiquariato tramandata dai genitori. Nessuno dei due si era sposato. Avevano un blocco verso la realizzazione sentimentale. Qualcosa li legava alla loro infanzia. Qualcuno. Jack. Come aveva potuto un individuo da manicomio condurre anche loro sull’orlo della follia? 


Continua...

domenica 8 giugno 2014

Gocce di dolore e d'amore




<<Il prossimo libro lo scelgo io>> sbottò Carlotta. Aveva divorato rapidamente la sua fetta di cheesecake per non proferire parola fino alla fine della lettura del capitolo.
Evidentemente quel libro era stato scelto come chiaro riferimento per la sua situazione. E discutere di un suo problema davanti ad altre signore non era nelle sue intenzioni. Virginia, sua sorella maggiore la pensava diversamente.
<< Cecità espone tutti gli errori commessi dal genere umano, dimostra che forse si può tornare sui propri passi>>. Saramago centrava poco in quella discussione. Virginia stava parlando apertamente al cuore della sorella.
Lei lo capì, e le chiese di parlarle in disparte, in cucina con la banale scusa di mettere sul fuoco l’acqua per il thè. Il suo pensiero non era condivisibile con le filosofeggianti signore del club del libro.
<< Allora, mi dici qual è il tuo problema?>>.
<< Lo sai bene, quel livido sul braccio non è spuntato dal nulla. Tu sei cieca, Carlotta!>>.
Virginia si accese una sigaretta, e mise sul fuoco la teiera. Era tranquilla, nonostante la situazione della sorella era una piccola goccia nel suo mare di ansie.
<< Cazzo Virginia, sei patetica. Non sei mia madre>>.
<< E lui non è tuo padre>>, la interruppe Virginia.
<< Non capisco quale sia il problema. Mi sono innamorata di un uomo maturo>>. Anche Carlotta si accese una sigaretta.
<< Maturo, che eufemismo. Dovresti dire un uomo di sessant’anni che non ha fatto nulla per tutta la sua vita e che adesso trascorre le sue giornate tra il bar e la distanza che lo separa dalla slotmachine sul retro>>.
Carlotta fumò così intensamente che in una sola boccata era quasi giunta al filtro. La spense con nervosismo nel posacenere. Virginia aveva ragione, e Carlotta in fondo lo sapeva. Quel livido era la richiesta di altri soldi.
<<Strano, non hai evidenziato che è il padre di tuo marito>>.
La voce carica di rabbia di Carlotta subì una flessione. <<Oscar non è perfetto, ma io lo amo>>.
Virginia spense anche lei la sigaretta, aveva sfondato una barriera imposta dalla sorella, e incurante che nell’altra stanza ci fossero altre tre persone che aspettassero una fumante tazza di thè, decise di cercare uno spiraglio di luce.
<< Io so cosa pensi, ma ti assicuro che non ho cercato una figura paterna, ma un uomo d’amare>>.
In pochi secondi un’altra goccia si aggiunse al mare di ansie di Virginia. Tornarono a galla come piccole macchie d’olio, tutti gli anni trascorsi a prendersi cura di sua sorella dopo la morte dei genitori. Era stata madre prima del tempo, senza volerlo. Prima d’incontrare Paolo, e prima ancora che la vita di Stefania e Alessandro passasse per il suo stesso corpo.
Il suono stridulo del citofono distolse l’intimità delle due sorelle.
Probabilmente era Paolo, come ogni Lunedi sera giocava a calcetto. Con Marco. Una pulsione s’insinuò tra il mare di pensieri di Virginia, e tutta l’acqua del mondo non sarebbe stata sufficiente a spegnerla. Era sempre un piacere vedere Marco, un docente d’educazione fisica della sua scuola, e amico di Paolo.
Se vuoi che un tradimento passi inosservato, porta in casa l’altro uomo. Virginia lo sapeva bene, ma i suoi tentativi erano vani. Marco era di palato fine, e strizzava gli occhi per le ragazzine e non per una cinquantenne.
Virginia invitava sempre più spesso Marco a casa per cena, con la scusa di propinare qualche nuovo piatto di suo marito. Paolo, in arte Chef Pablo, da quando conduceva un nuovo programma di cucina in televisione era alla ricerca di nuovi gusti. Proprio come Virginia.
Nuovamente suonò il citofono. Non era Paolo. Virginia non aveva considerato che con il traffico era impossibile essere a Garbatella già a quell’ora.
Era Stefania, con una sua nuova amica, Marica. Per nulla raccomandabile.
Virginia la conosceva bene, era finita nella sua presidenza innumerevoli volte. E Stefania aveva capito. La regola non valeva solo per sua madre. Porta in casa il nemico. Marica era ormai frequentatrice abituale della casa e la faccenda proprio non piaceva a Virginia.
<<Ammettetelo frigidelle, leggete cinquanta sfumature di grigio immaginando scopate che mai farete>>. Un esordio niente male per fare pessima impressione. Indignate, le signore del libro decisero che era ora di andare. Marica, senza scusarsi non disse null’altro e raggiunse Stefania che entrando in casa si precipitò in camera.
Stefania era cambiata e Virginia aveva notato i cambiamenti. Normali per una ragazza di sedici anni. Preoccupanti se paragonati a tutti i casini che aveva commesso in pochi mesi. Era tornata spesso ubriaca, ed era stata beccata dal padre con dell’erba in borsa.
La colpa era di Alessandro.
La risposta a qualsiasi domanda, per Stefania la colpa era sempre di Alessandro.
Non sopportava tutte le attenzioni che riservavano al fratellino di dieci anni. Muto, dalla nascita.
L’ultima volta che cercò di parlare con i genitori, tra urla senza senso Stefania disse << Voi vi odiate, fingete di stare bene insieme solo per non destabilizzare il piccoletto. Anche un cazzo di cane gli avete comprato>>.
Da quel momento Virginia e Paolo tenevano l’argomento quanto più lontano possibile. Virginia si era innamorata di Marco, Paolo probabilmente scopava allegramente con qualche collaboratrice della sua redazione e nonostante tutto giocavano alla famiglia felice.
Carlotta aveva cercato anche lei di dare una mano. Stefania sputava veleno su tutto e su tutti.
<< Tu succhi il cazzo moscio del nonno>>, uno schiaffo chiuse del tutto l’argomento.
Nessuno parlava, solo Alessandro comunicava con il suo grande sorriso. Eppure era l’unico senza il dono della parola.
Voleva bene a sua sorella, ai suoi genitori, a Bobby, il suo cane.
Abbaiava.
Erano tornati dalla partita di calcetto. Paolo credeva che tenere lontano Alessandro dalle tensioni della casa, avrebbe fatto bene al piccolo. E soprattutto a se stesso. Meno tempo trascorreva in famiglia più allontanava l’idea che tutto andasse male.
Bobby abbaiava. Più del solito. L’aria serale doveva aver smosso la voglia di vivere, almeno al cane.
Paolo salutò fugacemente Carlotta. L’idea che avesse una relazione con il padre gli dava il voltastomaco. Tanto più se non era stata in grado di fargli perdere le vecchie brutte abitudini.
Alessandro sorrideva. Come sempre. Era già al tavolo a disegnare un enorme campo da calcio. La fantasia amplificava le piccolezze in cui era immerso.
Virginia allungava il collo oltre la porta. Bobby, Alessandro, Paolo. Nessuna traccia di Marco.
Chiedere apertamente dove fosse, era quasi una confessione a cuore aperto. E lo fece.
Ha saltato l’appuntamento alla partita. Un impegno inderogabile aveva detto.
Qualche cagnetta da soddisfare, fu la prima e unica riflessione di Virginia. Pensando a Marco perdeva tutta la sua rigidità da preside e si trasformava in una produttrice di pensieri della peggiore categoria.
Bobby abbaiava ancora. Si diresse in camera di Stefania.
<< Fermo>> un’unica parola gridata da Stefania. Poi il silenzio. Le ragazze aspettavano la reazione a catena che sarebbe seguita di lì a poco.
Bobby non abbaiava più. Alessandro aveva quasi finito il suo disegno. Un campo da calcio fantastico, circondando da animali che non erano visibili a un occhio distratto. Cicale, gufi e pipistrelli.
Una fotografia. Bobby la posò con il muso sul tavolo, sovrastando il disegno di Alessandro e infrangendo per sempre la sua infanzia. I denti che sorreggevano il sorriso di Alessandro divennero sempre meno visibili con la comprensione di quella fotografia.
Lacrime, gocce di dolore e d’amore premevano sugli occhi di Alessandro. Basta sorridere, avrebbe voluto gridare. Se solo la voce fosse stata dalla sua parte. Invece l’immagine divenne sempre più sfocata davanti ai suoi occhi. Alterata dalle lacrime, si convinse che fosse un sogno.
Virginia si avvicinò. Carezzò la testa al figlio e vide. La sua famiglia distrutta per sempre.
Marco, Stefania, Marica. Non s’intuiva, dove finisse il corpo dell’uno e dell’altro. Nudi, su un letto.
Virginia pianse restando alle spalle del piccolo Alessandro che adesso poggiava la testa sul tavolo per scacciare dalla sua mente forme del corpo umano che non credeva potessero esistere.

Virginia piangeva, non per sua figlia, né per Marco. Piangeva perché nonostante il marciume trasmesso da quell’immagine, vedeva tre persone felici e saldamente attaccate alla vita. 


LUIGI FORMOLA