giovedì 29 agosto 2013

Il peso della solitudine altrui.

Il peso della solitudine altrui.




La solitudine. Credevo che non si potesse raccontare attraverso la storia di un uomo di cui non si conosce direttamente nulla, una storia che precipita in poco tempo. Non conosco il nome di quest’uomo, lo chiamerò Bruno per dargli una connotazione, un anziano di circa settant'anni che fino a poco tempo fa si godeva in compagnia gli anni di riposo, quelli che seguono una vita di lavoro e sacrificio. La prima volta che l’ho visto era circa un anno fa. Era felice, con un sorriso stampato sul volto che mostrava quanto fosse soddisfatto del modo di vivere la terza età. Bruno veniva in pizzeria a settimane alterne, seguito da un amico e due allegre signore che li tenevano compagnia. Le due donne dell’est Europa, probabilmente dell’Ucraina dato il forte accento con cui cercavano di parlare in italiano, sembravano serene al fianco dei due uomini, che ipotizzo le abbiano accolte in casa loro e siano diventate le loro compagne dopo la morte delle rispettive mogli. Supposizioni che nascevano da una mia analisi esterna della situazione che poi in seguito si sono rivelate vere.  Il quadro che mi si presentava davanti ogni volta che arrivavano per mangiare in compagnia una pizza e ridere com'è solito degli adolescenti che cercano di far colpo sull'altra persona, era la rappresentazione perfetta di quattro esistenze che avevano raggiunto la loro stabilità e che in fondo non importava sapere cosa gli riservava il domani. Loro vivevano il presente tra una pizza, un bicchiere di birra ghiacciata e una carezza sul volto solcato dagli anni e dalle tante sofferenze inflitte dal passato. Avevano una vita felice. Avevano. Pochi mesi fa, dopo aver visto sempre tutti e quattro varcare la soglia della sala della pizzeria, arrivarono solo in tre. Bruno e le due bionde signore, senza l’amico di sempre, si sedettero e ordinarono un pasto frugale, nessuna birra e solo dell’acqua come per mandare giù una brutta notizia. I loro volti non erano sereni come sempre, si percepiva che il gruppo aveva perso un elemento e che la sintonia che erano riusciti a ricreare tutti e quattro si stava lentamente dissolvendo. Non chiesi cosa fosse successo all'amico di Bruno, ma potevo immaginarlo. Quando una persona vive gli ultimi anni della sua vita, non tende a lasciare chi gli è accanto, capita sempre il contrario.E' la vita che lo strappa a chi gli è accanto. Non ne avevo la certezza perché non mi furono pronunciate le parole, “è morto”, ma sapevo che il corso delle cose aveva portato verso quest’evento. Dopo quella volta non vidi Bruno per un po’ di mesi. Fino a ieri. E’ entrato da solo e si è accomodato ad un tavolo posto in disparte rispetto agli altri, per ricrearsi il suo angolo, per cenare in compagnia dei ricordi. Del volto sorridente che avevo conosciuto circa un anno prima, non ne era rimasta nessuna traccia. Lo spirito giovane che sembrava dibattersi in quel corpo era sepolto da tante nuove perdite. Come sempre chiesi a Bruno, cosa prendesse mentre consultava ancora il menù. Aveva il capo chino come per raccogliere i pensieri e formulare una frase che racchiudesse in poche parole quello che provava. Non gli avevo chiesto nulla in merito alla sua situazione ma Bruno sapeva che avevo notato i cambiamenti avvenuti intorno a lui. Il ritrovarsi in pizzeria si era trasformato da una felice compagnia d’amanti e amici in una cena per non essere da solo di fronte ad una fredda televisione e nessuno sguardo umano. << Hai visto come cambiano in fretta le vite?>>. Disse Bruno guardandomi fisso negli occhi per far arrivare alla mia anima il suo messaggio. <<Pochi mesi fa ho perso un amico fraterno, ci conoscevamo da cinquant'anni e siamo sempre stati vicini l’uno all'altro  Quando è morta mia moglie, ogni mattina bussava alla mia porta, mi faceva vestire e mi offriva la colazione. Cosi tra un caffè e una passeggiata avevo assorbito la mia perdita senza troppo dolore>>. Bruno fece una pausa per raccontare cosa era successo invece all'amico e sorseggiò l’acqua che mi aveva chiesto poco prima. << Qualcuno lassù ha voluto che ricambiassi il favore, e dopo due mesi anche sua moglie se ne andò a causa di un ictus celebrale. Eravamo soli ma insieme, cosi vivevamo la nostra pensione in modo ripetitivo e monotono. Poi passeggiando nel parco abbiamo conosciuto le due signore che hai visto anche tu qui in pizzeria. Avevano una storia come la nostra, avevano perso i mariti in giovane età e avevano deciso di venire in Italia per guadagnare qualcosa, e ci riuscivano veramente bene facendo quei lavori come le pulizie di casa che nessuno vuole fare più. Ci siamo conosciuti e ci siamo subito innamorati, e siamo stati bene per più di due anni>>. Ecco, sapevo che stava per arrivare l’altro evento tragico che cambiava nuovamente lo status quo. Avevo fretta poiché gli altri clienti reclamavano di essere serviti, ma ero immerso nella storia, sapevo com'era finita, ma sentire il racconto dal diretto interessato aveva una vena malinconica che non avrei potuto ricreare tra le mie supposizioni. <<E poi a rompere la nostra felicità ci ha pensato la morte quando si è venuto a prendere Marco, il mio amico. Mi sono sentito terribilmente solo, e poi le nostre due compagne hanno deciso di tornare in Ucraina nel loro paese, non riuscivano a sopportare di vedermi in preda alla tristezza. In realtà avevano racimolato i soldi, lavorando, che servivano per il loro futuro e decisero di tornare a casa>>. Gli si riempirono gli occhi di lacrime ed esclamò sconfitto << e adesso sono solo, senza figli e senza nessuno>>. Non sapevo cosa dire cosi gli poggiai semplicemente una mano sulla spalla dicendogli di farsi forza. Continuai a lavorare con un peso nell'anima, il peso della solitudine altrui, che può colpirti in qualsiasi momento, e quando lo fa penetra lentamente dentro di te lasciando tracce visibili in ogni aspetto della tua persona. 

Luigi Formola

mercoledì 28 agosto 2013

I have a dream! Do you?


I have a dream.

Siamo consapevoli che questa frase, quest'affermazione, ha cambiato il corso degli eventi durante gli anni '60 del secolo scorso. Quanti di noi conoscono la scintilla che ha innescato la ribellione pacifica del popolo vittima di razzismo nei caldi stati del sud? Ricercate semplicemente Rosa Parks e avrete tutte le risposte in pochi istanti. Probabilmente una storia che ricordate ma che sembra lontana anni luce. L'uguaglianza sociale ancora oggi è un miraggio che resta relegato in un'oasi difficile dal raggiungere. C'è maggiore convivenza, spesso in accezione negativa : Tolleranza!
Finché vivrà questa parola, l'uguaglianza non sarà mai una realtà definitiva. 
Immaginate.

Immaginate di poter andare avanti con gli anni e sapere che cinque decenni dopo, il tuo sogno prende forma. Ricordiamo degnamente un grande oratore del 20esimo secolo. Mr. Martin Luther King ha insegnato a tutti noi che avere un sogno è possibile, di qualsiasi natura esso sia. Cinquant'anni dopo il paese pioniere della tratta dei neri ha un Presidente di colore. La deduzione è semplice : Yes, we can!





Sono felice di unirmi a voi in questa che passerà alla storia come la più grande dimostrazione per la libertà nella storia del nostro paese. Cento anni fa un grande americano, alla cui ombra ci leviamo oggi, firmò il Proclama sull’Emancipazione. Questo fondamentale decreto venne come un grande faro di speranza per milioni di schiavi negri che erano stati bruciati sul fuoco dell’avida ingiustizia. Venne come un’alba radiosa a porre termine alla lunga notte della cattività.
Ma cento anni dopo, il negro ancora non è libero; cento anni dopo, la vita del negro è ancora purtroppo paralizzata dai ceppi della segregazione e dalle catene della discriminazione; cento anni dopo, il negro ancora vive su un’isola di povertà solitaria in un vasto oceano di prosperità materiale; cento anni dopo; il negro langue ancora ai margini della società americana e si trova esiliato nella sua stessa terra.
Per questo siamo venuti qui, oggi, per rappresentare la nostra condizione vergognosa. In un certo senso siamo venuti alla capitale del paese per incassare un assegno. Quando gli architetti della repubblica scrissero le sublimi parole della Costituzione e la Dichiarazione d’Indipendenza, firmarono un “pagherò” del quale ogni americano sarebbe diventato erede. Questo “pagherò” permetteva che tutti gli uomini si, i negri tanto quanto i bianchi, avrebbero goduto dei principi inalienabili della vita, della libertà e del perseguimento della felicità.
E’ ovvio, oggi, che l’America è venuta meno a questo “pagherò” per ciò che riguarda i suoi cittadini di colore. Invece di onorare questo suo sacro obbligo, l’America ha consegnato ai negri un assegno fasullo; un assegno che si trova compilato con la frase: “fondi insufficienti”. Noi ci rifiutiamo di credere che i fondi siano insufficienti nei grandi caveau delle opportunità offerte da questo paese. E quindi siamo venuti per incassare questo assegno, un assegno che ci darà, a presentazione, le ricchezze della libertà e della garanzia di giustizia.
Siamo anche venuti in questo santuario per ricordare all’America l’urgenza appassionata dell’adesso. Questo non è il momento in cui ci si possa permettere che le cose si raffreddino o che si trangugi il tranquillante del gradualismo. Questo è il momento di realizzare le promesse della democrazia; questo è il momento di levarsi dall’oscura e desolata valle della segregazione al sentiero radioso della giustizia.; questo è il momento di elevare la nostra nazione dalle sabbie mobili dell’ingiustizia razziale alla solida roccia della fratellanza; questo è il tempo di rendere vera la giustizia per tutti i figli di Dio. Sarebbe la fine per questa nazione se non valutasse appieno l’urgenza del momento. Questa estate soffocante della legittima impazienza dei negri non finirà fino a quando non sarà stato raggiunto un tonificante autunno di libertà ed uguaglianza.
Il 1963 non è una fine, ma un inizio. E coloro che sperano che i negri abbiano bisogno di sfogare un poco le loro tensioni e poi se ne staranno appagati, avranno un rude risveglio, se il paese riprenderà a funzionare come se niente fosse successo.
Non ci sarà in America né riposo né tranquillità fino a quando ai negri non saranno concessi i loro diritti di cittadini. I turbini della rivolta continueranno a scuotere le fondamenta della nostra nazione fino a quando non sarà sorto il giorno luminoso della giustizia.
Ma c’è qualcosa che debbo dire alla mia gente che si trova qui sulla tiepida soglia che conduce al palazzo della giustizia. In questo nostro procedere verso la giusta meta non dobbiamo macchiarci di azioni ingiuste.
Cerchiamo di non soddisfare la nostra sete di libertà bevendo alla coppa dell’odio e del risentimento. Dovremo per sempre condurre la nostra lotta al piano alto della dignità e della disciplina. Non dovremo permettere che la nostra protesta creativa degeneri in violenza fisica. Dovremo continuamente elevarci alle maestose vette di chi risponde alla forza fisica con la forza dell’anima.
Questa meravigliosa nuova militanza che ha interessato la comunità negra non dovrà condurci a una mancanza di fiducia in tutta la comunità bianca, perché molti dei nostri fratelli bianchi, come prova la loro presenza qui oggi, sono giunti a capire che il loro destino è legato col nostro destino, e sono giunti a capire che la loro libertà è inestricabilmente legata alla nostra libertà. Questa offesa che ci accomuna, e che si è fatta tempesta per le mura fortificate dell’ingiustizia, dovrà essere combattuta da un esercito di due razze. Non possiamo camminare da soli.
E mentre avanziamo, dovremo impegnarci a marciare per sempre in avanti. Non possiamo tornare indietro. Ci sono quelli che chiedono a coloro che chiedono i diritti civili: “Quando vi riterrete soddisfatti?” Non saremo mai soddisfatti finché il negro sarà vittima degli indicibili orrori a cui viene sottoposto dalla polizia.
Non potremo mai essere soddisfatti finché i nostri corpi, stanchi per la fatica del viaggio, non potranno trovare alloggio nei motel sulle strade e negli alberghi delle città. Non potremo essere soddisfatti finché gli spostamenti sociali davvero permessi ai negri saranno da un ghetto piccolo a un ghetto più grande.
Non potremo mai essere soddisfatti finché i nostri figli saranno privati della loro dignità da cartelli che dicono:”Riservato ai bianchi”. Non potremo mai essere soddisfatti finché i negri del Mississippi non potranno votare e i negri di New York crederanno di non avere nulla per cui votare. No, non siamo ancora soddisfatti, e non lo saremo finché la giustizia non scorrerà come l’acqua e il diritto come un fiume possente.
Non ha dimenticato che alcuni di voi sono giunti qui dopo enormi prove e tribolazioni. Alcuni di voi sono venuti appena usciti dalle anguste celle di un carcere. Alcuni di voi sono venuti da zone in cui la domanda di libertà ci ha lasciato percossi dalle tempeste della persecuzione e intontiti dalle raffiche della brutalità della polizia. Siete voi i veterani della sofferenza creativa. Continuate ad operare con la certezza che la sofferenza immeritata è redentrice.
Ritornate nel Mississippi; ritornate in Alabama; ritornate nel South Carolina; ritornate in Georgia; ritornate in Louisiana; ritornate ai vostri quartieri e ai ghetti delle città del Nord, sapendo che in qualche modo questa situazione può cambiare, e cambierà. Non lasciamoci sprofondare nella valle della disperazione.
E perciò, amici miei, vi dico che, anche se dovrete affrontare le asperità di oggi e di domaniio ho sempre davanti a me un sogno. E’ un sogno profondamente radicato nel sogno americano, che un giorno questa nazione si leverà in piedi e vivrà fino in fondo il senso delle sue convinzioni: noi riteniamo ovvia questa verità, che tutti gli uomini sono creati uguali.
Io ho davanti a me un sogno, che un giorno sulle rosse colline della Georgia i figli di coloro che un tempo furono schiavi e i figli di coloro che un tempo possedettero schiavi, sapranno sedere insieme al tavolo della fratellanza.
Io ho davanti a me un sogno, che un giorno perfino lo stato del Mississippi, uno stato colmo dell’arroganza dell’ingiustizia, colmo dell’arroganza dell’oppressione, si trasformerà in un’oasi di libertà e giustizia.
Io ho davanti a me un sogno, che i miei quattro figli piccoli vivranno un giorno in una nazione nella quale non saranno giudicati per il colore della loro pelle, ma per le qualità del loro carattere. Ho davanti a me un sogno, oggi!.
Io ho davanti a me un sogno, che un giorno ogni valle sarà esaltata, ogni collina e ogni montagna saranno umiliate, i luoghi scabri saranno fatti piani e i luoghi tortuosi raddrizzati e la gloria del Signore si mostrerà e tutti gli essere viventi, insieme, la vedranno. E’ questa la nostra speranza. Questa è la fede con la quale io mi avvio verso il Sud.
Con questa fede saremo in grado di strappare alla montagna della disperazione una pietra di speranza. Con questa fede saremo in grado di trasformare le stridenti discordie della nostra nazione in una bellissima sinfonia di fratellanza.
Con questa fede saremo in grado di lavorare insieme, di pregare insieme, di lottare insieme, di andare insieme in carcere, di difendere insieme la libertà, sapendo che un giorno saremo liberi. Quello sarà il giorno in cui tutti i figli di Dio sapranno cantare con significati nuovi: paese mio, di te, dolce terra di libertà, di te io canto; terra dove morirono i miei padri, terra orgoglio del pellegrino, da ogni pendice di montagna risuoni la libertà; e se l’America vuole essere una grande nazione possa questo accadere.
Risuoni quindi la libertà dalle poderose montagne dello stato di New York.
Risuoni la libertà negli alti Allegheny della Pennsylvania.
Risuoni la libertà dalle Montagne Rocciose del Colorado, imbiancate di neve.
Risuoni la libertà dai dolci pendii della California.
Ma non soltanto.
Risuoni la libertà dalla Stone Mountain della Georgia.
Risuoni la libertà dalla Lookout Mountain del Tennessee.
Risuoni la libertà da ogni monte e monticello del Mississippi. Da ogni pendice risuoni la libertà.
E quando lasciamo risuonare la libertà, quando le permettiamo di risuonare da ogni villaggio e da ogni borgo, da ogni stato e da ogni città, acceleriamo anche quel giorno in cui tutti i figli di Dio, neri e bianchi, ebrei e gentili, cattolici e protestanti, sapranno unire le mani e cantare con le parole del vecchio spiritual: “Liberi finalmente, liberi finalmente; grazie Dio Onnipotente, siamo liberi finalmente”.

lunedì 26 agosto 2013

Happiness is the way #2

Vedere un mondo in un granello di sabbia e un paradiso in un fiore selvatico, tenere l'infinito nel palmo della mano e l'eternità in un'ora.

William Blake

domenica 25 agosto 2013

Dalla luce al buio attraverso il viola. PARTE III

DALLA LUCE AL BUIO ATTRAVERSO IL VIOLA.
Terza parte


Chris cercò di sviare l’attenzione dal suo stato d’eccitamento e chiese alla donna se fosse stata vittima di qualche lutto recentemente poiché indossava un abito nero da cerimonia funebre. Per tastare il polso della situazione aggiunse se si trattasse di una perdita cara, di famiglia. << Chris, lo leggo nei tuoi occhi che sei curioso di sapere se ho perso mio marito, tranquillizzati, sono libera da tutto e da tutti. La perdita che ho subito riguarda solo me, nessuna famiglia, né vincoli matrimoniali>>. La mano di Violet si spostò sul volto del guardiano andando a stimolare quei punti deboli e sensibili che fanno cadere qualsiasi uomo nel totale controllo delle pulsioni femminili. Chris ipotizzò che la persona che veniva a trovare tra i loculi fosse un amante o un compagno d’avventure e che in fondo poteva provarci liberamente con una donna che lo stava invitando alla seduzione. Le sfiorò velocemente i capelli, non aveva né tempo né pazienza per prolungare un corteggiamento che era stato superato nel momento in cui Violet aveva toccato il corpo del febbricitante giardiniere. Il vento aumentava sempre di più e nessuno dei due sembrava curarsene. Avevano il calore dei loro corpi a riscaldarli. Violet sembrava volesse succhiare dal collo di Chris tutta la vita con quei violenti baci, sembrava fosse in astinenza da molto più tempo del guardiano solitario. In un momento di lampante lucidità Chris propose di andare in casa poiché il cimitero era ancora aperto e potevano essere visti dai passanti e provocare uno scandalo, magari avrebbe perso il posto di lavoro, il suo intero mondo nutrito da piccoli inspiegabili ma importanti gesti quotidiani. Violet aveva abbandonato le scarpe, il suo abito nero non aveva più la stessa aderenza di pochi minuti prima e il corpo che era sotto quei vestiti premeva per uscire allo scoperto. << Avanti Chris, perché vuoi nasconderti? In fondo l’intero cimitero è casa per te, amami qui, adesso>>. Le parole uscirono quasi come gemiti dalla bocca della bionda di cera, e investirono gli ormoni di Chris in meno di un secondo. Nel preciso istante in cui Chris capì che voleva ogni singola cosa cui si stava apprestando a fare, il vento aumentò la sua potenza, facendo volare via i guanti e le scarpe della donna, la quale ne approfittò per liberarsi anche del vestito ed essere pronta per essere amata. Chris le prese le gambe che erano ancora più bianche del resto del corpo e le avvicinò a sé per consumare su quella fredda panchina un amore che era troppo tempo che restava dentro di lui. Il piacere non era solo sui loro volti soddisfatti, era percepibile nell’aria e nei loro respiri. Chris chiuse gli occhi facendosi trasportare dagli animaleschi movimenti di Violet e li riaprì dopo poco, trovandosi di fronte uno scenario che non era per lui una novità assoluta. Le colline erano viola e il vento quasi insostenibile. Spaventato da ciò che lo circondava, si allontanò da Violet rapidamente abbottonandosi la camicia. << Cosa diavolo significa? E tu chi sei?>> Chris sbatteva i denti mentre pronunciava queste parole; voleva convincerci che fosse solo un incubo e che niente fosse reale. <<Non aver paura Chris, tutto ciò è accaduto realmente, stiamo vivendo un’intensa passione e l’imbrunire improvviso è solamente un segnale per me, un avviso che il mio tempo qui sta per finire>>. Chris alle parole della donna sembrò tranquillizzarsi, ma la sua curiosità aumentava e chiese senza titubanze <<E’ tutto un sogno vero? Tu non puoi esistere, sei maledettamente bella>>. Violet si avvicinò lentamente a Chris strusciandosi sulla panchina. <<Ti prego non fare domande, a ogni risposta vorresti saperne sempre di più>>. Il guardiano aveva abbandonato ogni paura e si sentiva pronto a impugnare l’intera situazione colpendo Violet su un punto che aveva capito essere di vitale importanza per lei. <<Violet, voglio tutta la verità, in caso contrario anche rivedendoti, non subirò la tua influenza e le mie pulsioni saranno messe a tacere>>. Gli pesò pronunciare quello che poteva essere un perfetto addio, ma la voglia di sapere la verità sui misteri di quella donna arrivava prima di qualsiasi ormone galoppante. Violet divenne silenziosa e sul suo volto scesero delle lacrime che erano un segnale che stava per cedere e rivelare tutta la sua storia. << Sai, sono sempre stata una donna passionale, e ho amato tutti gli uomini con cui sono stata, perché per me non era solo sesso, ma era la realizzazione della mia essenza. Mi sentivo viva abbandonando me stessa nelle braccia di molti uomini>>. Violet iniziò a rivestirsi, pronta ad andar via appena rivelato ogni segreto. <<Parlo al passato perché tutti questi miei aspetti sono stati cosi fino a poche settimane fa. Ero nel mio letto con il mio compagno, voleva sposarmi. Quella sera era stata speciale, avevamo raggiunto l’apice della nostra passione nello stesso istante, una perfetta rappresentazione di simbiosi. Subito dopo mi rilassavo leggendo, avevo appena iniziato “Insomnia di King”, quando a un tratto fui colpita da un malore>>. Chris ascoltando il progredire della storia stava facendo convergere ogni pezzo del mistero al punto giusto e iniziava a farsi una sua idea sull’identità di Violet. <<Un infarto mi strappo alla vita e mi condusse direttamente in questo cimitero. Ero ancora giovane e vogliosa. E poi vidi te. Solitario come la notte e silenzioso come una tomba. Ti elessi come mia preda per farci compagnia a vicenda. Misi quel libro su questa panchina perché tu lo trovassi, speravo che lo leggessi poiché in fondo m’interessa sapere come finisce la storia. Soprattutto mi serviva per farti addormentare, leggendo ti saresti abbandonato facilmente al sonno, e avresti potuto incontrare me, qui nei tuoi sogni. Ora, svegliati. Se vuoi che sia ancora tua, basta leggere e venirmi a cercare>>. Violet diede un bacio sulla guancia e si allontanò lasciando dietro di sé una luce viola accecante. Chris si riparò gli occhi con il braccio per non essere accecato. Subito dopo si ritrovò nel suo letto, con Life la gatta che ancora miagolava contro le pareti. Non titubò un secondo, riprese a leggere il romanzo e aspettò che il sonno lo conducesse nuovamente da Violet.

mercoledì 21 agosto 2013

Dalla luce al buio attraverso il viola. PARTE II


DALLA LUCE AL BUIO ATTRAVERSO IL VIOLA. 
Parte Seconda.





Tremolante aprì la porta di casa richiudendola con violenza alle sue spalle, quasi a volersi convincere che quell'incubo sarebbe sparito in automatico con la forza impressa in quel gesto. Non riusciva a credere a ciò che aveva assistito, e non si accorse di aver portato con sé il libro trovato sulla panchina. Ancora incredulo per quella manifestazione inspiegabile si versò di seguito tre bicchieri colmi di whisky che lo ridestarono e lo fecero tornare con i piedi ben piantati nella realtà allontanando supposizioni paranormali. L’effetto dell’alcool gli anestetizzò i pensieri e cancellò l’accaduto collocandolo come un sogno vissuto a occhi aperti. Purtroppo da quel rapido passaggio dalla luce al buio iniziò la sua insonnia che aumentava di giorno in giorno, finché non riuscì più a riposare minimamente. Cercando il sonno tra le pagine del libro trovato sulla panchina, leggeva, senza capirne appieno il significato, con occhi appesantiti che visivamente sembravano volessero chiudersi ma che in realtà sfrecciavano da destra a sinistra come carichi d’adrenalina. Il sole quella mattina si rivelò prima del previsto, cosi Chris abbandonò frettolosamente il letto e si preparò per la sua giornata lavorativa. C’era sempre qualche vecchietta che anch'essa posseduta dall'insonnia bussava e reclamava il suo ingresso nel cimitero per trascorrere un po’ di ore con il marito defunto anni prima. Chris sapeva identificare tutti i suoi visitatori, ma essendo chiuso nel suo perimetrale mondo che non sforava oltre il suo giardino, non conosceva neanche un nome di chi lo salutava quotidianamente. Quella mattina girovagava tra le tombe per controllare che tutto fosse in ordine e pulito. Appena intravedeva una singola foglia che imbrattava il rigore del silenzio eterno dei suoi ospiti, si metteva all'opera per rendere tutto perfetto. Chris aveva più rispetto per i morti che per i vivi; pensava sempre che in fondo i visitatori sono di passaggio e che la loro presenza in quel luogo è temporanea, mentre per gli ospiti era tutto diverso, avrebbero sostato per l’eternità nello stesso posto e preservare il loro territorio di riposo era il suo compito. Tutto sembrava al suo posto, il cappello nero lo riparava dal sole che quel mattino picchiava con insistenza nonostante alcune nuvole ne coprissero il colore, le foglie da raccogliere erano poche e i visitatori passavano inosservati come tutti i giorni. Mentre si avviava sul vialetto di casa per prepararsi un fugace pranzo per poi dedicarsi al suo cortile, lo colpì una presenza che non faceva parte della quotidianità cui era abituato; una distinta signora dai capelli biondi e con un abito scuro era seduta su una panchina. Chris non aveva tanta dimestichezza con l’universo femminile, aveva avuto in passato delle compagne e sapeva anche essere un ottimo amante, ma dal suo ingresso nel cimitero aveva dimenticato le dinamiche del mondo reale e l’unica compagna cui rivolgeva raramente parola per conversare era la gatta Life.  Si soffermò ad ammirare tanta bellezza e incrociò lo sguardo della signora in nero. Per lui far volgere il proprio sguardo in quello di un'altra persona era un gesto strano, inconsueto. La donna non sembrava essere triste, aveva un’espressione beata, angelica, che stonava con il nero dell’abito che accentuava il bianco del suo volto. Sorrise guardando Chris, il quale ricambiò dimostrando di saper ancora muovere quei muscoli facciali che sono adibiti per comunicare gioia e serenità con altre persone. <<Salve>> disse inaspettatamente Chris tossendo per rischiarirsi la voce poiché era la prima parola pronunciata dal suo risveglio. <<Salve, lei è il guardiano, vero?>> chiese la donna mentre toglieva i suoi guanti scuri mostrando delle mani che sembravano perfettamente di cera . <<Si sono proprio io, ci siamo già visti?>> chiese a sua volta il taciturno Chris. Sembrava proprio che stavano per immettersi in una conversazione, che secondo la bravura degli interlocutori poteva rivelarsi lunga o il tempo di uno scambio di brevi battute. La donna non sembrava infastidita e smaniosa di chiudere velocemente quella chiacchierata, anzi invitò Chris a sedersi al suo fianco. << Già, non è la prima volta che c’incontriamo, ma lei è sempre cosi occupato nel suo lavoro che non mi ha mai notata, eppure sono una frequentatrice assidua>>. Chris sedendosi percepì una sensazione di freddo e di umido, riconoscendo cosi la panchina dove poche settimane prima erano avvenuti l’incredibile oscuramento del cielo e il violaceo cambiamento delle colline. Nonostante gli balzò alla mente questo particolare, la sua attenzione si focalizzava su ciò che le era stato appena detto, come se si gli fosse stato rivelato di essere piacevolmente pedinato nei suoi spostamenti tra i vialetti del cimitero. Si sentiva uno stupido rendendosi conto che a causa della sua determinazione nell'indossare sempre il cappello nero per allontanare gli sguardi altrui aveva perso l’opportunità di conoscere in precedenza una donna cosi magnetica. <<Ha ragione, spesso sono così preso dal controllare che tutto sia in ordine che non mi accorgo di chi mi circonda, neanche di una donna come lei>>. Chris osò giocarsi la sua carta per tentare un’ipotetica seduzione. Sentiva il sangue scorrere veloce nelle vene come non succedeva da anni. La donna scoppiò in una risata fragorosa, calda, viscerale e si avvicinò a Chris ponendogli una mano su un ginocchio. <<Le sembro tanto vecchia che merito del lei? Chiamami pure Violet. Io ti chiamerò Chris>>. Il guardiano era in forte disagio, sorvolando sulla conoscenza del suo nome senza averlo pronunciato, ciò che lo catturava era la mano della donna che iniziava ad accarezzare la coscia dell’uomo provocandogli un’evidente erezione. (CONTINUA)

martedì 20 agosto 2013

Dalla luce al buio attraverso il viola. PARTE I

Salve, 
molto brevemente. 
Il racconto che segue era nato per la rubrica Music Storyline, purtroppo più cercavo di rendere il brano breve e conciso  maggiori dettagli inserivo nelle descrizioni ritrovandomi con un racconto più lungo del previsto. Dato che sono in procinto di partecipare ad un concorso di scrittura ho deciso di utilizzare questa storia. Il disco di riferimento doveva essere "Viva la vida" dei Coldplay, così in alcuni brevi incisi ho cercato di inserire degli elementi di quel disco.
Ecco a voi la prima parte di "Dalla luce al buio attraverso il viola".
See Ya!
Luigi.



DALLA LUCE AL BUIO ATTRAVERSO IL VIOLA. 


Chris era irrequieto e insonne come ormai capitava da innumerevoli notti. Trascorreva tutto il giorno con un occhio chiuso e l’altro aperto poiché non riusciva a riposare adeguatamente come richiedeva il proprio organismo. Le sensazioni negative di quella notte furono peggiori di tutte le altre sperimentate in quelle ore notturne; il vento soffiava forte e quasi come un lamento accompagnò Chris nel suo continuo dormiveglia. Dalla finestra della stanza da letto poteva vedere l’albero, dove era solito ripararsi dal sole e leggere nelle giornate di riposo da lavoro, scuotersi avanti e indietro, quasi come se due entità giocassero a palla con i rami facendoli passare velocemente da destra a sinistra e viceversa. Era abituato a subire la suggestione di quel posto, ma per la prima volta stava sperimentando una paura indotta da innumerevoli fattori. Anche Life, la gatta bianca che apparteneva al precedente guardiano era agitata più del solito. I suoi fragili miagolii erano intervallati solo da brevi silenzi in cui fissava alcuni punti della stanza e indietreggiava, come se percepisse una presenza che si aggirava in casa. Un’altra notte in bianco stava per giungere al termine e consapevole che due ore di sonno fossero soltanto un danno per il suo organismo, decise di continuare a leggere il libro che aveva iniziato tempo prima. Per ironia Il libro in questione era “Insomnia” di Stephen King che aveva trovato abbandonato su una panchina poche settimane prima. Chris ricordava perfettamente il giorno del ritrovamento del libro poiché avvenne qualcosa d’inspiegabile. Come succedeva ogni fine pomeriggio stava rastrellando il cortile di casa, che per sua fortuna non era contraddistinto da nessuna croce, ma soltanto da margherite e dall'imponente albero cui dedicava tanta cura. Chris, radunando tutte le foglie cadute, pensò che quella che stesse per terminare fosse stata una giornata considerevole per la sua datrice di lavoro, avendo visto oltre dieci corpi sfilare con il proprio corteo ed essere adagiati nei propri loculi per il riposo eterno. Chris non prestava più attenzione a quanti ospiti entrassero quotidianamente nel suo cimitero, ma un’abbondanza di morte lo rendeva sempre pensieroso e distratto cosicché non si accorse del vento che stava aumentando e una violenta folata, fece volare lontano il suo berretto nero che indossava sempre per non incontrare gli sguardi distrutti di chi visitava i propri cari defunti. Con goffaggine cercò di recuperare il cappello correndogli dietro, ma il vento dispettoso lo allontanava sempre di più, finché non si posò ai piedi di una panchina di legno. Nonostante avesse soltanto trentotto anni e un fisico asciutto invidiato da tutti gli uomini della sua stessa età che iniziavano a far sporgere sul proprio addome rotondità e pelle non più tonica, Chris aveva un fiatone galoppante da sessantenne panciuto. Si sedette sulla panchina per riprendersi, ma la sosta fu veloce poiché il legno era freddo e umidiccio, cosi Chris dopo alcuni secondi era già in piedi, cappello in testa e pronto a riprendere la sua rastrellata giacché il vento aveva sparso nuovamente le foglie per l’intero cortile. Nello stesso istante in cui si stava avviando lungo il vialetto del suo villino da guardiano, vide avvicinarsi nella sua direzione delle persone vestite di nero e logorate dal dolore. Da sempre intimorito da questi incontri, come se si sentisse indirettamente in colpa per la morte di ogni singolo individuo, si risedette sulla panchina e notò un libro che prima non c’era, o come si volle convincere, non aveva visto. Per evitare di incrociare gli sguardi dei piangenti passanti, finse di leggere quel libro. Come fanno i gatti quando percepiscono un pericolo, Chris restò in quella posizione fissa per oltre dieci minuti, come per assicurarsi che non si creasse nessuna occasione di essere fermato dai visitatori del tardo pomeriggio per uno scambio di una qualsiasi parola. Alzò la testa e osservò le colline che circondavano la valle, il cielo era pronto a imbrunire ma Chris, che lavorava come guardiano da ormai quindici anni, non aveva mai visto nell'atmosfera circostante un colore cosi viola, che rifletteva sulle colline mutandole di colore. Il vento si era improvvisamente fermato e c’era una stasi d’aria, non una leggera brezza percepibile sulla pelle. Chris, estasiato da questo fenomeno, non riusciva a smettere di fissare le colline viola, poi gli occhi iniziarono a lacrimare poiché erano trascorsi alcuni minuti senza sbattere le palpebre. Nel preciso istante in cui chiuse gli occhi, un vento fortissimo lo raggiunse e sobbalzò dalla panchina vedendo che era sopraggiunta improvvisamente la notte. Pochi secondi prima il cielo aveva ancora una luce e in una millesima frazione di tempo aveva abbracciato il nero dell’universo. Chris ne fu tremendamente spaventato e corse verso casa; guardando in entrambe le direzioni percepiva delle presenze che rendevano gli alberi vivi e parlanti attraverso il vento che filtrava tra i rami. 

sabato 17 agosto 2013

20 Lines : #02. Contrario

"Forza, è mattina. A dormire". Mia madre me lo ripeteva ogni volta che finiva una notte​. Lei tornava da lavoro stanca e bianca in volto come se le stelle non stessero illuminando abbastanza. Papà puntualmente veniva a darmi il bacio del buongiorno mentre io ancora cercavo qualcosa di interessante alla tv. Dopo gli spettacoli della prima notte iniziavano a mandare tutti quei film da tarda mattinata che servono tanto a dormire. "Sai non vedo l'ora che avremo la stessa età, cosi potremo andare in giro insieme come due coetanei che si divertono e dimenticheremo di essere padre e figlio​". Papà viveva in funzione di questo. Suo padre, mio nonno, era morto prima del livellamento familiare tra padre e figlio. Come tutte le persone che muoiono sulla terra aveva dovuto trasferirsi su un altro pianeta. A mio nonno era toccato Marte e dato che non poteva più tornare a casa papà spesso era triste
"Ancora davanti a quella tv?" su vestiti e mettiti a letto. Mia madre era severissima questa volta. Talmente severa che aveva addirittura portato il gelato per farmi coricare. Io non volevo dormire. Volevo sfidare il giorno. Mio cugino si era procurato il soprannome di "Sunny". Era trasgressivo e viveva sempre di giorno. Tutti se ne accorsero quando tornò a casa con un colore di pelle olivastra. Capimmo che aveva trascorso tutto il giorno a zonzo. Una volta per farmi addormentare Sunny mi raccontò la vita di giorno. Non potevo credere a quelle parole cosi incredibile. C'era addirittura gente che si sdraiavano sui prati senza avere paura di scottarsi ai raggi del sole. Ciò che mi affascinò e che mi spinse ad uscire quella mattina fu il canto di due ragazzi che suonavano la chitarra. Sentivo che le loro melodie erano allegre, non erano come la musica che ascoltavamo di solito, la musica della notte.


Luigi Formola

lunedì 12 agosto 2013

Risvegliarsi.

Non importa se sia Lunedì, Martedì o qualsiasi altro giorno della settimana. 
Se ti alzi e sai già quali saranno le azioni della tua giornata, non ti illudere. Sei già morto. 
Se lavori torni a casa e non dedichi del tempo alla tua essenza, sei già morto. 
Se non controlli il tempo dalla finestra per capire se il sole è presente, sei già morto.
Se credi che puoi rimandare all'infinito delle scelte da fare,non hai la percezione dell’inesorabile tempo che passa, e allora sei già morto.
Se ti circondi solo di cose, non avrai conforto, non avrai crescita nel momento del crollo, sarai solo e sei già morto.
Se osservi un bambino sorridere, essere felice nel suo mondo ancora inconsapevole e senti che le lacrime sono già arrivate sul tuo mento, gioisci perché sei ancora vivo e potrai esserlo ancora a lungo. Se vorrai.
Luigi Formola

domenica 11 agosto 2013

Music Storyline : #01. Californication - Red Hot Chili Peppers

Spesso ascoltando un disco, una singola canzone facciamo viaggiare la nostra mente magari immaginando anche una storia retrospettiva che accompagna le note musicali. L'idea è questa : scrivere racconti brevi che abbiano come tema un disco. Le sue atmosfere, le sue tematiche, il suo intero mondo. La prima Music Storyline ha come soggetto il pluripremiato disco "Californication" dei Red Hot Chili Peppers. Come avevo scritto nel lancio del Blog vorrei poter ricreare una moltitudine di voci, quindi se stai leggendo e hai voglia di cimentarti nella scrittura di un brevissimo racconto che ha come base il tuo disco preferito, sei benvenuto! 
See Ya!
Luigi 



Denaro e cemento.


Pochi anni prima c’eravamo ripromessi di girare il mondo sulla nostra Cadillac Deville nera del 68 abbandonando il lavoro e decidendo di vivere on the road per mesi, anni, forse per il resto della vita. Quell'auto era il simbolo della nostra adolescenza e prima di appartenere ad Anthony era stata di suo padre, il quale ogni volta che ci beccava a bordo della sua automobile iniziava a sbraitare e a infervorarsi; sapevamo che al termine della giornata qualcuno di noi le avrebbe prese di santa ragione.  Il sogno di noi ragazzini di fine anni ’80 era di potersi vantare di avere un’auto che secondo il signor Kiedis, il padre di Anthony, aiutava a rimorchiare centinaia di ragazze. Probabilmente nella sua versione edulcorata della Deville c’è sempre stato un fondo di verità, poiché ancora oggi Anthony non ha la minima idea di chi sia sua madre e del motivo per cui l’abbia abbandonato nelle mani di un uomo che non ha mai provato a salvare il figlio da quell'inferno di bassofondo in cui vivevano. Per sua fortuna c’eravamo noi a sostenere il futuro del giovane Kiedis, spronandolo ogni qualvolta trovava un lavoro ad aspirare a qualcosa di meglio. In una mattina dell’autunno del ’97 avvenne poi la liberazione definitiva. Anthony, al termine del suo turno di lavoro come fattorino del latte, rientrò a casa e trovò suo padre senza vita riverso sulla poltrona con il pantalone abbassato e sintonizzato su uno di quei canali che trasmettono ininterrottamente pornografia di bassa qualità e hotline succhia stipendi. Un infarto decise che quello era il momento giusto per strapparlo alla vita in modo ridicolo e umiliante. Ripensandoci fu davvero macabro e irrispettoso ciò che facemmo subito dopo la sua morte; scattammo delle foto per ricordarci del modo orrendo in cui aveva deciso di lasciare questo mondo liberando finalmente suo figlio di un peso che per anni gli aveva impedito di vivere indipendentemente.  Michael, Chad, Anthony ed io non eravamo semplicemente degli amici, ci siamo sempre aiutati come si cerca di sostenere un fratello e la morte di Kiedis Senior ne fu la dimostrazione. Proposi ad Anthony di trasferirsi a vivere da me, dalla mia famiglia che di certo non aveva problemi di spazio per sistemare un ospite permanente. Mio padre e mio nonno prima di lui, gestiva la più grande società immobiliare di Los Angels e da buon imprenditore aveva acquistato una grande area su Venice Beach costruendo il nostro impero domestico personale. Anthony era passato in poche settimane dall'inferno al paradiso, ed io ne ero felice. Avevo salvato un amico, ero stato la sua seconda occasione. Mio padre che da sempre riusciva a fiutare le qualità latenti degli individui, annusò subito l’affare inserendo Anthony in tandem con me nella società. Diceva che Anthony dopo aver vissuto per tanti anni nel degrado totale era capace di arpionare i migliori squali imprenditoriali, scuoiarli, ridare nuovo lustro alla pelle e renderla pronta a essere indossata nuovamente. Ormai eravamo dei 20enni che dovevano indirizzarsi per una strada, e mentre Michael e Chad intrapresero l’attività di venditore di tavole da surf prediligendo uno stile di vita free e meno borghese, noi ci stavamo incanalando nei grandi affari e negli stipendi da capogiro. In pochi anni il nome di Kiedis divenne una garanzia e sapevamo tutti che l’eredità che mi spettava andava divisa meritatamente con lui. Il decennio successivo, mentre stavamo abbandonando i trent'anni e ci avvicinavamo sempre più ai quaranta, eravamo i Leader di settore non più soltanto della California, ma anche del Nevada, con il 50% delle proprietà nella sola città di Las Vegas, e inoltre stavamo puntando all'altra costa. Nel corso degli anni ogni qualvolta che ci ritrovavamo per una celebrazione puntualmente dopo un paio di birre scolate in un sorso per immedesimarci nell'idea di essere dei tipi da strada e non dei 40enni in carriera, saltava fuori l’idea di prendere la vecchia Cadillac Deville, custodita gelosamente da Anthony e mettere in pratica il sogno adolescenziale del Coast to Coast. Quella sera fu il nostro punto di partenza per ritornare a essere dei ragazzini californiani che non sanno cosa aspettarsi dal domani, se un colpo di pistola durante una rissa o un colpo di fortuna proveniente dalle Hills. Decidemmo di partire. In fondo tutti avevamo la libertà di assentarci dal lavoro, anche Chad e Michael ormai avevano aperto un franchising del loro marchio e per fortuna sia i turisti sia i californiani non abbandonavano il surf neanche dopo aver cavalcato la grande onda. Anthony ed io delegammo gli affari da terminare ai nuovi pupilli che promettevano grandi introiti e lasciammo la “Frusciante Real Estate Agency” per vivere il grande sogno. Il giorno seguente, con i nostri pantaloncini, nessuna giacca, nessuna cravatta, era già tutto pronto. Mettendo in moto la Deville potevo quasi sentire le urla dal passato di Kiedis Senior che ci minacciava di lasciare in pace la sua auto e di andare a ciondolare sulla spiaggia e non sulla sua proprietà.
<< Sei pronto John?>>. Disse Anthony con voce quasi tremolante mentre sistemava lo specchietto retrovisore.

<< Non puoi immaginare quante volte ho vissuto questo viaggio nella mia testa>>. Ci lasciammo alle spalle Venice e la California. Ci aspettavano giorni di caldo tra deserto e Motel. Con tutti i soldi guadagnati in un ventennio, questo era l’affare più grande della nostra vita; rendendo reale un desiderio avevamo fornito prova che non avevamo sepolto i nostri anni migliori sotto strati di denaro e cemento. Avevamo dimostrato di saper vivere la Vita, quella che poi hai da raccontare e non da mostrare.

Luigi Formola

sabato 10 agosto 2013

20Lines : #01. Ogni luna ha due facce

20Lines nasce come sito di scrittura creativa e di snodi narrativi che partono da un incipit lanciato da uno degli utenti e continuato dagli altri lettori/scrittori. Le mie 20 righe riportate di seguito sono la mia visione di un'ipotetico prosieguo di una storia lanciata da Giorgio Faletti. Per leggere l'inizio dello scrittore astigiano vista il sito 20lines.com.
See Ya!

Luigi



"Non avrei mai immaginato che giungere sulla terra avrebbe spinto a ricredermi su ciò che sono. Mi guardo in un oggetto che su questo pianeta chiamano specchio​. Significa che riproduce la mia immagine. Ovvero, dovrebbe riprodurre la mia immagine. Le sembianze che avevo alla mia partenza sono totalmente sparite. L'enzima che ingerisco seguendo la scansione imposta dall'orologio basata sul nostro sistema temporale, ha alterato i miei tratti fisici; provo a cercare qualcosa di ciò che ero in quest'immagine riflessa, ma non ritrovo nulla. Le mie dita con punta esagonale adesso sono quasi tondeggianti e all'estremità presentano un filamento sottile che delimita gli spazi. Loro le chiamano unghie. Io proprio non ne capisco l'utilità. Scoprire questi nuovi aspetti della mia persona mi ha distratto dal mio obiettivo principale. E' quasi una settimana che abbandono il mio abitacolo di riposo e scendo in strada per trovare informazioni. Non riesco a recuperare nulla; sembra quasi che la mia missione sia destinata al fallimento. E' trascorso davvero pochissimo tempo ma ho voglia di tornare dalla mia famiglia, voglio vedere nuovamente tutto blu, agire in questo modo mi fa sentire un nemico di guerra, invece stiamo esplorando un pianeta appena scoperto. Secondo le nostre stime il pianeta Terra esiste da centinaia di anni che paragonate con il nostro sistema di misura, equivale a... ieri. Esattamente. Io sono giunto su questo pianeta il giorno dopo in cui è nato. La Terra oggi ha milioni di anni, eppure l'ho vista formare solo ieri. Basta!!! Sto diventando davvero come loro, come i terresti, parlo, parlo, parlo ma non riesco a giungere a nessuna conclusione. Qual era la mia missione? Cristo, cosi loro sono soliti esclamare, l'ho dimenticata, credo sia il caso di ricontattare casa, la mia casa".

venerdì 9 agosto 2013

Da buon padrone di casa...

...mi presento. L'idea di avere un Blog dove poter scrivere ed interagire è cresciuta nel tempo. L'intenzione non è di un monologo a senso unico, ma di una moltitudine di voci che s'interfacciano per costituire una micro comunità. Il modo d'interagire in questa Cronaca e le varie tematiche saranno spiegate nei prossimi giorni.
Chi sono io? Poca immaginazione e tanti dettagli nella descrizione che segue.
See ya!
Luigi Formola


27 Luglio 1986. All'età di otto anni mi divertivo a riscrivere i climax di molti film. Ingenuamente tramutavo il cattivo di turno in un redento volto alla pace globale. Non avevo ancora assaporato la "disillusione del mondo" che Friedrich Schiller mi avrebbe insegnato tempo dopo. All'età di dieci anni armeggiavo con la musica, o meglio con il linguaggio musicale. Mai piaciuto il calcio. Occupavo il mio tempo divertendomi a tradurre ogni testo di canzone che reperivo in inglese. A dodici anni scelgo Dylan Dog come costante della mia vita. A quattordici anni, l'ormone adolescenziale influisce anche sulla mia mano. Non siate maliziosi, semplicemente scrivevo molto e in poche settimana avevo scritto una dozzina di canzoni. Poi c'è stato il liceo. Scientifico. Provai a scrivere un romanzo, stupidamente basato sulle vicende di un gruppo di ragazzi. Banalità a gogo. Ci sono state anche tante letture. Genere? Tendenzialmente romanzi con vicende drammatiche come background. Se non c'è qualcuno che soffre non sono interessato alla lettura. Che pessimo parametro. Dai sedici anni, e ancora tutt'oggi, contemporaneamente agli studi, lavoro come cameriere. Volevo indipendenza economica per le mie passioni. Primo desiderio realizzato con i soldi guadagnati comprare una batteria ed imparare a suonarla. A vent'anni, l'università. Mi iscrissi a Scienze della Comunicazione, dove mi laureai nei tempi previsti con una tesi sulla correlazione degli stili di vita e le marche. Che brand potevo scegliere per un rocker inside? Converse ovviamente. Il percorso di studi è proseguito e concluso con una laurea magistrale in "Comunicazione pubblica e d'impresa", dove a farne da padrona è stata la lingua inglese. "English for Bussiness and Communication", che parolone, ma la mia tesi era proprio tutta in inglese. Precisamente sull'importanza del linguaggio nella Green Economy. A ventun'anni la mia prima ed unica band i Dreamway Tales. Insieme da sei anni, abbiamo pubblicato abbastanza materiale e reperito una buona fama, Attualmente promuoviamo il nuovo disco "Disordine".Nei miei progetti personali sono impegnato nella stesura definitiva del mio primo romanzo intitolato "Il paradiso d'ottobre".