Un suono assordante che rappresentava la
salvezza.
La sirena di una nave in arrivo era il
biglietto per dimenticare l’incubo in cui erano precipitati.
Il porto-canale non era mai stato cosi
buio e sommerso in una nebbia d’altri tempi. Il ricordo di un clima mite era
lontano, i monti Ausoni non riuscivano più a trattenere il male, lasciavano
sorvolare su Terracina il gelo delle anime dannate.
Stefano guardava ancora quel corpo
stramazzato al suolo. Rita tremava come una foglia, era riuscita a piantare un
coltello nel suo cuore.
Nel cuore di Nicola.
L’avevano cercato per tanto tempo, e il
tempo l’aveva trasformato in un mostro.
Rifugiatosi nel campanile diroccato
della chiesa di San Francesco, Nicola, aveva vissuto come un animale, alla
ricerca furtiva di cibo. Nicola accumulava il dolore di un abbandono.
Era cattivo.
La rabbia, l’alessitimia e un’innata
follia erano gli unici compagni di viaggio tra quattro mura fredde e solitarie.
“Hai
dovuto farlo, non avevi alcuna scelta”, Stefano cercava di placare il
tremolio di Rita.
Il suo corpo era senza controllo, e il freddo
di una notte di Gennaio non era d’aiuto.
“La
nave sta attraccando, ci sarà sicuramente un ufficiale a bordo, chiameranno
loro la polizia”. Le parole di Stefano non sortivano alcun effetto. Erano
usciti da un incubo, soltanto grazie ad una morte.
Perché erano giunti a uccidere Nicola?
Rita non riusciva a focalizzare tutto il
male e le pressioni subite da Nicola negli ultimi mesi. Riusciva soltanto a
fissare quel corpo senza vita e tutto il sangue che aveva ricoperto la banchina
e si riversava nelle acque del Tirreno.
L’umidità creava un sottile strato di
goccioline d’acqua sui volti di Stefano e Rita, le lacrime si nascondevano
bene. I singhiozzi stroncati di Rita un po’ meno. Stava cedendo, la tensione
calava e la nave era quasi approdata.
Soltanto alcuni minuti di attesa e
sarebbero tornati a vivere le loro vite. Le loro esistenze in cui la costante
era il numero due e non il tre.
Due, come loro. Stefano e Rita Di
Girolamo.
Gemelli che sentivano da sempre una
parte mancante nella loro esistenza. Erano cresciuti sempre insieme, costruendo
il loro futuro in una piccola bottega di antiquariato tramandata dai genitori,
situata poco lontana da Piazza Garibaldi. Nessuno dei due si era sposato.
Avevano un blocco verso la realizzazione sentimentale.
Qualcosa li legava alla loro infanzia.
Qualcuno. Nicola.
Come aveva potuto un individuo selvaggio
e senza un reale passato condurre anche loro sull’orlo della follia?
Rita guardava il volto di Nicola, aveva
gli occhi chiusi, morti, già lontani dalla vita e per la prima volta
ritornavano alla mente le parole del padre.
Nicola aveva lo stesso taglio d’occhi
della loro mamma, e tanti altri lineamenti che non appartenevano alla loro
famiglia.
Nicola aveva un legame diretto con Rita
e Stefano. Di sangue.
Un fulmine a ciel sereno aveva colpito i
due gemelli alcuni mesi prima. Angelo Di Girolamo, il padre dei ragazzi, si
recava quotidianamente nella chiesa del Santissimo Salvatore. Chiudeva la sua
bottega d’antiquariato e pregava.
Il suo volto non aveva mai trovato la
pace. E i suoi occhi erano un fiume in piena di segreti da svelare.
Sul letto di morte, Angelo Di Girolamo,
aveva deciso di sollevare un macigno dalla propria anima e confessare un
segreto che aveva logorato per trent’anni la sua unione familiare.
La moglie, Giulia Di Girolamo, non aveva
resistito alla presenza del male nella loro famiglia.
Lei sapeva com’era stata concepita
quella creatura. Non avendo il coraggio di uccidere un bambino indifeso solo
nell’aspetto decise di abbandonarlo, tra gli alberi del Circeo, liberandosi
dalla presenza di un diavolo sotto candide spoglie.
E poi si abbandonò anch’essa,
congedandosi dalla vita.
Non morì, fissò il nulla per dodici anni
prima di tirare l’ultimo sospiro. Qualcosa aveva portato la vita di Giulia Di
Girolamo con sé. Qualcuno.
“Figli
miei, voi avete un fratello, che Dio non faccia mai incrociare le vostre vite
alla sua insulsa malvagità”. Nessun amore nelle ultime parole di Angelo Di
Girolamo, solo un avvertimento.
Stefano e Rita avevano finalmente
interpretato un sogno che li perseguitava da anni.
Un vagito, un piano acuto, stridulo come
una lama che graffia una lavagna e fa scorrere i brividi lungo la schiena.
Un pianto di un bambino che si univa ad
altri due. Tre. Non era un sogno.
Avevano la conferma che i loro fossero
ricordi d’infanzia. Un pianto li portava lontani, quasi a uno stato prenatale e
un suono acuto li faceva ripiombare nel presente. La nave suonava l’ultima
sirena. Erano a poche centinaia di metri di distanza dal Porto-canale. Dal
ponte della nave giungevano le prime voci.
Salvezza si leggeva sul volto di Rita
che fissava costantemente Nicola. Gettò le braccia al collo di Stefano e
socchiuse gli occhi. Non temeva più quel fratello che aveva reso un inferno il
suo, il loro, mondo di oggetti antichi e ben curati.
“Stefano
è finita, dimenticheremo tutto. Saremo solo tu ed io. Nessun altro fratello.
Dimenticheremo, ne sono sicura”.
Gli occhi chiusi, serrati, di Rita
stavano già iniziando a elaborare un metodo per eliminare la persecuzione di Nicola
avvenuta negli ultimi mesi.
Più chiusi erano gli occhi, più Rita
pensava di dimenticare in fretta. Passarono pochi secondi di silenzio. Nessun
rumore, neanche dei marinai pronti a scendere dalla nave.
Stefano non aveva risposto. Forse aveva
già dimenticato.
Eppure i ricordi pesavano, cosi come
iniziava a pesare il corpo di Stefano tra le braccia di Rita. Una sensazione di
calore avvolse il volto di Rita.
Stefano era diventato troppo pesante.
Un abbraccio dovrebbe alleviare i brutti
ricordi. Il loro incubo non era finito.
Rita riaprì velocemente gli occhi. Sul
suo volto il calore era dettato dal sangue che sgorgava dalla bocca di Stefano.
Era morto, in silenzio. Rita lasciò cadere il corpo del fratello permettendo al
sangue di proseguire il suo flusso. Una macchia che si allargò fino a
ricongiungersi al sangue di Nicola.
Un sussulto. Il corpo dell’altro gemello
non giaceva più morto.
Rita provò a gridare. Nessun suono uscì
dalla sua bocca. Intanto nei Porto-canale continuava a rimbombare il suono
della sirena che richiamava i marinai dormienti pronti a scaricare la merce.
Un blocco di cemento aveva piantato Rita
all’asfalto solidificandosi con il sangue di Stefano che raggelò in pochi
secondi.
Nicola era davanti ai suoi occhi.
Un’evidente ferita al petto.
Di cosa diavolo era fatto quest’uomo?
La risposta era chi Diavolo era. Il suo volto non aveva nulla dei suoi tratti
umani. La bocca mostrava lo stridersi di denti che si rompevano e mescolavano
sangue e saliva, gli occhi sfrecciavano senza seguire una traiettoria ben
precisa. E il cuore pulsava in gola, come se quella fosse la sua sede.
Risuonò una voce che proveniva da mondi
lontani, non terreni.
“Piccola
Rita, sorellina. Io sapevo già tutto. Questa era la fine”. Il fiato corto
di Rita si propagava sempre più lentamente nell’aria.
Le nuvolette di fumo gelato diventavano
sempre più piccole, insignificanti.
Come la sua vita in quel momento.
Sarebbe morta, anche se Nicola non avesse compiuto il suo lavoro. Il suo cuore
non avrebbe retto.
“I
nostri genitori hanno pensato che io fossi il male. Tu sai che sono frutto
delle loro passioni sfrenate. Nostra madre era una troia. Sono il risultato di
molti uomini diversi. Capisci piccola Rita?”.
Nicola senza mostrare un minimo di paura
guardò verso l’alto, verso il Monte Sant’Angelo.
“Profanare un luogo che ha ospitato la
sacralità degli Dei, e scambiare il corpo divino con molteplici sapori che si
avvicendano sul proprio corpo”.
Rita strinse un pugno al cuore, stava
per cedere. Nicola indicò con un dito il Tempio di Giove Anxur.
“Nostra madre ha sfidato gli Dei, e loro
hanno mandato me.”
Nicola rise risvegliando i brividi che
erano statici sul corpo di Rita.
“Probabilmente
sarei stato un bambino normale se il rimorso non le avesse logorato l’anima. Voi
siete stati i figli che desideravano…io un mostro, mentre la mammina godeva in
un’orgia in un Tempio. E Dio, o qualcuno ai piani bassi ha messo il male dentro
di me”.
Nicola chinò la testa in un breve cenno
di tristezza.
“Volevo
solo una vita come la vostra. Non ho potuto. Ringrazia la mamma. La rivedrai
tra poco”.
Nicola stramazzò al suolo.
Rita era salva.
Non aveva visto il coltello piantato nel
suo cuore. Si accorse di essere morta pochi minuti dopo. E tre, fu il numero
perfetto di gemelli morti nella stessa notte.
LUIGI FORMOLA