martedì 29 ottobre 2013

Tutto ciò che è stato, alla fine torna.


Tutto ciò che scorre, può trasformarsi in qualsiasi altra materia diversa dalla sua origine. Essenzialmente può diventare sangue. Sangue che pulsa, che fa percorsi strani nelle nostre vene, che esce dal nostro corpo, che diventa crosta su cui costruire nuove esperienze, che diventa tappeto, rigorosamente rosso, al nostro abbandono alla realtà.
J. corre. Corre come se non ci fosse un domani. Mentre poggia i piedi su un percorso d’asfalto sfasato che gli cambia la percezione del contatto con la terra, pensa a quanto si sente vivo. Rimugina su quanto a lungo abbia lasciato sopita la sua voglia di essere eternamente giovane. Il brano nel suo I-pod scorre, proprio come il sangue nelle sue vene che sembra impazzito, non riesce a stabilizzarsi e quasi togli l’ossigeno al cervello.
J. non ha intenzione di fermarsi e lascia che quel suono cosi suadente s’ impossessi del proprio corpo, dei propri piedi, che vanno senza un punto d’arrivo.  Ha lasciato le preoccupazioni fuori dalla sua ora di libertà, lontano dal lavoro, dall’insostenibile peso delle smanie della moglie, dal ritmo frenetico di una citta come New York.  
La prontezza nei riflessi gli permette di evitare più volte d’inciampare nelle radici degli alberi che hanno sfaldato il sottile strato d’asfalto e che vogliono emergere e far prevalere la loro forza sulle opere messe in atto dall’uomo.
J. ,quando sta per giungere alla fine della sua corsa, si abbandona al silenzio ovattato proveniente dall’esterno in una pausa del brano. Vuole essere impavido, chiude gli occhi e percorre gli ultimi dieci metri alla cieca, vuole vivere l’ebrezza di essere guidato solo dai suoi piedi, mentre aumentano le pulsazioni del suo sangue. Preme sulle tempie come una pistola che sta per sparare il suo ultimo colpo.
Una fitta al cuore, J. sente la morte. Percepisce che è lì, maratoneta come lui, che è venuta a prenderlo per l’ultimo viaggio. Si gira di scatto e si trova di fronte un bambino che lo fissa come se non capisse quel gesto strano di una corsa a occhi chiusi. J, sente il cuore in gola, si piega poggiando le mani sulle proprie ginocchia come per prendere forza dalle sue gambe e ansimando fissa il bambino che ancora statuario non ha intenzione di andare via. Proprio come quando un gatto percepisce un pericolo e agitato non lascia lo sguardo dalla fonte della sua inquietudine. Forse il bambino è preoccupato che J. possa morire, che il suo gesto sia una predizione di morte.  
 J. pensa a suo figlio, avrebbe più o meno l’età di questo bambino oggi, e quasi gli somiglia con gli stessi occhi color notte. 
La notte. Non vuole ripensare alla notte in cui aveva perso suo figlio a causa di un fulmine in pieno buio, in pieno centro di New York, che distrugge la vita di un futuro in divenire, della sua stabilità mentale, e della sua vita matrimoniale.  In quell’occasione non ha visto il sangue padrone della scena, ma ha potuto annusare il suo odore, che invadeva l’aria, che volava via, insieme all’anima del suo bambino.

J. si volta con disinvoltura, non ha voglia di ripensare a quella storia. E’ consapevole che tutto ciò che è stato, alla fine torna, ma adesso vuole solo lavare via il senso di stanchezza. Rimette in play il brano che ascoltava prima dell’interruzione.
Giunge a casa, vuota. La moglie sarà sicuramente in giro ad alterare lo status del suo sangue ingerendo alcolici per rilevare dalla sua memoria gli innumerevoli brutti ricordi.
J. in bagno accende lo stereo . Buffo! Ritrova ancora quel brano, ormai ha capito che sarà la colonna sonora portante di questa giornata. Apre l’acqua calda e il vapore in pochi secondi copre la sua immagine riflessa. Con il palmo della mano pulisce uno spazio dello specchio per potersi rivedere. Alcune gocce di vapore colano sullo specchio proprio come delle lacrime che cadono, o delle gocce di sangue che scorgano. Ha voglia di radersi, è stufo di questa lunga barba nera che lo invecchia di almeno dieci anni. J. odia specchiarsi, ha gli stessi occhi di suo figlio. Milioni di volte è stato tentato di strapparseli, poi ha imparato a sostenere il suo stesso sguardo evitando che gli occhi si riempissero di lacrime.

Il brano incalza, arriva nuovamente alla parte finale, quella epica, in cui si prevede un colpo di scena. La rivelazione. O la rivoluzione. J. sente che è pronto a rivoluzionare la sua vita. La barba scompare, rivede il suo vero volto. Sangue. Sangue sulla sua gola. Un piccolo taglio deve aver reciso una vena. Il sangue è fluente, scorre su tutto il petto, passa per il cuore e segna un percorso fino al pube, e ancora giù per le gambe, i piedi e il pavimento. La terra. J. vede formarsi un piccolo tassello di rosso ai suoi piedi. Forse è in preda alla follia come capitò nei giorni seguenti la morte di suo figlio, ma interpreta quest’evento come un rito. Una purificazione. Il male è uscito dal suo corpo è stato versato ed è giunto sul pavimento. Sente di aver nuovamente un contatto diretto con la terraferma attraverso il sangue. J. sa cosa fare, deve far pulsare nuovamente il sangue nelle sue viscere e quelle di sua moglie. Deve dare un seguito a questa vicenda. Dal sangue perso può nascere nuovo sangue. Copulare, muoversi al ritmo sempre dello stesso brano. Arrivare, godere, sempre sul finale. Arrivare a costruire un futuro, una nuova vita. 

LUIGI FORMOLA

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