Janet aveva sonno.
Si rannicchiava sotto le coperte per sfuggire alle
sue richieste.
Lui si accendeva una sigaretta mentre in
televisione passavano le immagini di un vecchio western con Burt Lancaster.
Lei voleva essere una donna di casa, trattata come
una moglie. Da amare.
Invece era solo una troia in affitto, per i suoi
bisogni.
Sergio Cicaletti era malato. Di sesso. Janet era il
suo gioco preferito tra una cena in cui si discute di affari e un incontro con
gli esattori.
Janet ballava. Eccome se ballava.
Sempre e solo per soldi, infilati nel suo
striminzito corpetto che lasciava poco all’immaginazione.
C’era un senso nelle sue scelte d’abbigliamento.
Sapeva che i suoi clienti ne avevano poca d’immaginazione. Era meglio non farli
arrabbiare e mostrare tutta la mercanzia, senza alcuna riserva.
Janet aveva sonno.
S’illudeva che essere un ospite fisso sotto le
coperte nel letto di Sergio, le desse il diritto di definirsi una vera Comare.
L’illusione proveniva dal collier che portava
sempre con se, anche sotto le coperte. Poteva vederlo brillare nel buio, poteva
sentire il freddo dei diamanti che stuzzicavano i suoi seni.
Sergio non la degnava di uno sguardo. Notava solo
la sua fessa, e un regalo non era
null’altro che un surplus di un colpo andato fin troppo bene. Un avanzo per
Janet.
Janet ballava. E cadde. Svenne.
Un blackout in cui rivide tutti gli uomini che
l’avevano posseduta in cambio di pochi spiccioli, sempre e solo per volontà del
Capo. Un uomo simpatico, ma notevolmente assuefatto dal colore dei soldi.
Sergio era diverso, era dipendente dal sapore del suo corpo. Non la trattava da puttana, neanche da essere umano.
Sergio era diverso, era dipendente dal sapore del suo corpo. Non la trattava da puttana, neanche da essere umano.
Un ripostiglio per il cazzo a comando.
Forse il bagliore del collier le offuscava la vista.
Credeva che il suo principe del riciclaggio avrebbe abbandonato la moglie
rompendo il sacro vincolo del matrimonio.
Janet aveva sonno e non andava più a lavoro.
I suoi clienti speciali stavano già assaporando le
fantastiche storie raccontate dai fianchi e dalle cosce di altre colleghe.
Alcune raccontavano storie davvero poco fini. Volgari!
Janet ballava e raccontava di storie incredibili.
Di quelle che aprono porte su nuovi mondi inesplorati.
Il letto non era più un rifugio, dove credere
nell’amore e nei regali luccicanti e credere di essere la regina che un tempo era una puttana.
Lo era, e sempre lo sarebbe stata.
Sergio guardava l’ennesimo film western. L’epico
duello, sguardo di sfida e la solidità di Burt Lancaster erano scene che
conosceva a memoria.
Janet avvinghiata al suo fianco era l’unico
materasso in grado di soddisfare anche le pulsioni.
Vomitò. Ovunque.
Janet era disgustata. Non dai sapori di Sergio,
amava anche quel senso sporco che contraddistingueva il suo uomo.
Janet aveva la nausea. E non poteva più
nascondersi.
Le rotondità l’avrebbero tradita presto. Forse
sarebbe morta prima per mano del suo Capo. Niente soldi, niente lavoro e niente
vita.
Sergio poteva riscattarla. Darle merito in quella
scala valoriale di melma.
Burt Lancaster sfidava il suo avversario, la
musica, drammatica come poche, aumentava. Sergio sapeva come finiva la scena.
Burt non poteva perdere.
L’intero letto era ricoperto ancora di vomito e
bisognava ripulire.
Janet sorrise, non disse una parola.
Sergio, per la prima volta la guardò negli occhi.
Raccontarono ciò che lui non aveva mai capito. Né lontanamente intuito.
Burt estrasse la pistola, Sergio fece altrettanto.
Janet aveva sonno. Adesso poteva dormire, e sognare
di avere un figlio, un marito, una posizione nella famiglia degli affiliati.
Sergio pulì il vomito e il sangue dal suo corpo, si
accese una sigaretta e vide Burt Lancaster allontanarsi, mentre i titoli di
coda iniziavano a scorrere.
LUIGI FORMOLA
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