lunedì 13 ottobre 2014

La follia ha il sapore di un coltello.




Un suono assordante che rappresentava la salvezza.
La sirena di una nave in arrivo era il biglietto per dimenticare l’incubo in cui erano precipitati.
Il porto-canale non era mai stato cosi buio e sommerso in una nebbia d’altri tempi. Il ricordo di un clima mite era lontano, i monti Ausoni non riuscivano più a trattenere il male, lasciavano sorvolare su Terracina il gelo delle anime dannate.
Stefano guardava ancora quel corpo stramazzato al suolo. Rita tremava come una foglia, era riuscita a piantare un coltello nel suo cuore.
Nel cuore di Nicola.
L’avevano cercato per tanto tempo, e il tempo l’aveva trasformato in un mostro.
Rifugiatosi nel campanile diroccato della chiesa di San Francesco, Nicola, aveva vissuto come un animale, alla ricerca furtiva di cibo. Nicola accumulava il dolore di un abbandono.
Era cattivo.
La rabbia, l’alessitimia e un’innata follia erano gli unici compagni di viaggio tra quattro mura fredde e solitarie.
Hai dovuto farlo, non avevi alcuna scelta”, Stefano cercava di placare il tremolio di Rita.
 Il suo corpo era senza controllo, e il freddo di una notte di Gennaio non era d’aiuto.
La nave sta attraccando, ci sarà sicuramente un ufficiale a bordo, chiameranno loro la polizia”. Le parole di Stefano non sortivano alcun effetto. Erano usciti da un incubo, soltanto grazie ad una morte.
Perché erano giunti a uccidere Nicola?
Rita non riusciva a focalizzare tutto il male e le pressioni subite da Nicola negli ultimi mesi. Riusciva soltanto a fissare quel corpo senza vita e tutto il sangue che aveva ricoperto la banchina e si riversava nelle acque del Tirreno.
L’umidità creava un sottile strato di goccioline d’acqua sui volti di Stefano e Rita, le lacrime si nascondevano bene. I singhiozzi stroncati di Rita un po’ meno. Stava cedendo, la tensione calava e la nave era quasi approdata.
Soltanto alcuni minuti di attesa e sarebbero tornati a vivere le loro vite. Le loro esistenze in cui la costante era il numero due e non il tre.
Due, come loro. Stefano e Rita Di Girolamo.
Gemelli che sentivano da sempre una parte mancante nella loro esistenza. Erano cresciuti sempre insieme, costruendo il loro futuro in una piccola bottega di antiquariato tramandata dai genitori, situata poco lontana da Piazza Garibaldi. Nessuno dei due si era sposato. Avevano un blocco verso la realizzazione sentimentale.
Qualcosa li legava alla loro infanzia. Qualcuno. Nicola.
Come aveva potuto un individuo selvaggio e senza un reale passato condurre anche loro sull’orlo della follia?
Rita guardava il volto di Nicola, aveva gli occhi chiusi, morti, già lontani dalla vita e per la prima volta ritornavano alla mente le parole del padre.
Nicola aveva lo stesso taglio d’occhi della loro mamma, e tanti altri lineamenti che non appartenevano alla loro famiglia.
Nicola aveva un legame diretto con Rita e Stefano. Di sangue.
Un fulmine a ciel sereno aveva colpito i due gemelli alcuni mesi prima. Angelo Di Girolamo, il padre dei ragazzi, si recava quotidianamente nella chiesa del Santissimo Salvatore. Chiudeva la sua bottega d’antiquariato e pregava.
Il suo volto non aveva mai trovato la pace. E i suoi occhi erano un fiume in piena di segreti da svelare.
Sul letto di morte, Angelo Di Girolamo, aveva deciso di sollevare un macigno dalla propria anima e confessare un segreto che aveva logorato per trent’anni la sua unione familiare.
La moglie, Giulia Di Girolamo, non aveva resistito alla presenza del male nella loro famiglia.
Lei sapeva com’era stata concepita quella creatura. Non avendo il coraggio di uccidere un bambino indifeso solo nell’aspetto decise di abbandonarlo, tra gli alberi del Circeo, liberandosi dalla presenza di un diavolo sotto candide spoglie.
E poi si abbandonò anch’essa, congedandosi dalla vita.
Non morì, fissò il nulla per dodici anni prima di tirare l’ultimo sospiro. Qualcosa aveva portato la vita di Giulia Di Girolamo con sé. Qualcuno.
Figli miei, voi avete un fratello, che Dio non faccia mai incrociare le vostre vite alla sua insulsa malvagità”. Nessun amore nelle ultime parole di Angelo Di Girolamo, solo un avvertimento.
Stefano e Rita avevano finalmente interpretato un sogno che li perseguitava da anni.
Un vagito, un piano acuto, stridulo come una lama che graffia una lavagna e fa scorrere i brividi lungo la schiena.
Un pianto di un bambino che si univa ad altri due. Tre. Non era un sogno.
Avevano la conferma che i loro fossero ricordi d’infanzia. Un pianto li portava lontani, quasi a uno stato prenatale e un suono acuto li faceva ripiombare nel presente. La nave suonava l’ultima sirena. Erano a poche centinaia di metri di distanza dal Porto-canale. Dal ponte della nave giungevano le prime voci.
Salvezza si leggeva sul volto di Rita che fissava costantemente Nicola. Gettò le braccia al collo di Stefano e socchiuse gli occhi. Non temeva più quel fratello che aveva reso un inferno il suo, il loro, mondo di oggetti antichi e ben curati.
Stefano è finita, dimenticheremo tutto. Saremo solo tu ed io. Nessun altro fratello. Dimenticheremo, ne sono sicura”.
Gli occhi chiusi, serrati, di Rita stavano già iniziando a elaborare un metodo per eliminare la persecuzione di Nicola avvenuta negli ultimi mesi.
Più chiusi erano gli occhi, più Rita pensava di dimenticare in fretta. Passarono pochi secondi di silenzio. Nessun rumore, neanche dei marinai pronti a scendere dalla nave.
Stefano non aveva risposto. Forse aveva già dimenticato.
Eppure i ricordi pesavano, cosi come iniziava a pesare il corpo di Stefano tra le braccia di Rita. Una sensazione di calore avvolse il volto di Rita.
Stefano era diventato troppo pesante.
Un abbraccio dovrebbe alleviare i brutti ricordi. Il loro incubo non era finito.
Rita riaprì velocemente gli occhi. Sul suo volto il calore era dettato dal sangue che sgorgava dalla bocca di Stefano. Era morto, in silenzio. Rita lasciò cadere il corpo del fratello permettendo al sangue di proseguire il suo flusso. Una macchia che si allargò fino a ricongiungersi al sangue di Nicola.
Un sussulto. Il corpo dell’altro gemello non giaceva più morto.
Rita provò a gridare. Nessun suono uscì dalla sua bocca. Intanto nei Porto-canale continuava a rimbombare il suono della sirena che richiamava i marinai dormienti pronti a scaricare la merce.
Un blocco di cemento aveva piantato Rita all’asfalto solidificandosi con il sangue di Stefano che raggelò in pochi secondi.
Nicola era davanti ai suoi occhi. Un’evidente ferita al petto.
Di cosa diavolo era fatto quest’uomo?
La risposta era chi Diavolo era. Il suo volto non aveva nulla dei suoi tratti umani. La bocca mostrava lo stridersi di denti che si rompevano e mescolavano sangue e saliva, gli occhi sfrecciavano senza seguire una traiettoria ben precisa. E il cuore pulsava in gola, come se quella fosse la sua sede.
Risuonò una voce che proveniva da mondi lontani, non terreni.
Piccola Rita, sorellina. Io sapevo già tutto. Questa era la fine”. Il fiato corto di Rita si propagava sempre più lentamente nell’aria.
Le nuvolette di fumo gelato diventavano sempre più piccole, insignificanti.
Come la sua vita in quel momento. Sarebbe morta, anche se Nicola non avesse compiuto il suo lavoro. Il suo cuore non avrebbe retto.
I nostri genitori hanno pensato che io fossi il male. Tu sai che sono frutto delle loro passioni sfrenate. Nostra madre era una troia. Sono il risultato di molti uomini diversi. Capisci piccola Rita?”.
Nicola senza mostrare un minimo di paura guardò verso l’alto, verso il Monte Sant’Angelo.
Profanare un luogo che ha ospitato la sacralità degli Dei, e scambiare il corpo divino con molteplici sapori che si avvicendano sul proprio corpo”.
Rita strinse un pugno al cuore, stava per cedere. Nicola indicò con un dito il Tempio di Giove Anxur.
Nostra madre ha sfidato gli Dei, e loro hanno mandato me.”
Nicola rise risvegliando i brividi che erano statici sul corpo di Rita.
Probabilmente sarei stato un bambino normale se il rimorso non le avesse logorato l’anima. Voi siete stati i figli che desideravano…io un mostro, mentre la mammina godeva in un’orgia in un Tempio. E Dio, o qualcuno ai piani bassi ha messo il male dentro di me”.
Nicola chinò la testa in un breve cenno di tristezza.
Volevo solo una vita come la vostra. Non ho potuto. Ringrazia la mamma. La rivedrai tra poco”.
Nicola stramazzò al suolo.
Rita era salva.

Non aveva visto il coltello piantato nel suo cuore. Si accorse di essere morta pochi minuti dopo. E tre, fu il numero perfetto di gemelli morti nella stessa notte.


LUIGI FORMOLA

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