lunedì 3 marzo 2014

Lee Oswald was not alone




Johnny ritorna da Las Vegas su di un volo di linea dopo aver eseguito il suo incarico. Il tredicesimo per l'esattezza. È il miglior killer a pagamento sulla piazza. Ma questa volta era stato diverso, cazzo se era stato diverso. Questa volta ha trovato il tassello mancante a lungo cercato. L’ultimo incarico è stato una rivelazione. Larry Fishman, l’obiettivo di Johnny, pur di tentare di salvarsi ha spiattellato i piani dell’organizzazione. L’anello debole che fa mutare tutti gli eventi futuri. Dallas, 22 Novembre. La data del prossimo attentato per rimostrare contro il presidenzialismo americano.  Johnny lavora sottobanco per la Casa Bianca da oltre vent’anni, ha visto la vittoria del suo paese su Hitler e ha visto insidiare il nuovo nemico sempre più lentamente mimetizzandosi tra le folle. Johnny chiama chi gli detta ordini e comunica la sua notizia. “Procedi” sono le uniche indicazioni che gli sono fornite. Ha solo cinque giorni per attrezzarsi, e il presidente Kennedy non cambierà percorso per il suo corteo. Johnny arriva a Dallas e sente aumentare la tensione. Setaccia il percorso e tutti gli edifici circostanti. Bingo! Il giorno del colpo Johnny trova della dinamite piazzata al primo piano di un albergo. Questa volta non vogliono puntare al presidente, ma far sentire che sono presenti e che possono minare il potere. Johnny guarda attraverso la tenda, il corteo è iniziato, le strade sono piene e tra meno di mezz’ora, il presidente passerà per il quartiere dell’albergo. Ha un sussulto. Deve chiamare subito gli artificieri per far disinnescare la bomba. Si sta per trasformare da Killer a eroe. Spegne il suo sigaro sul muro e si precipita alla reception. Il caos. Mentre aspetta una risposta dall’altro lato del telefono, nota una confusione mista a paura, tutti sono nella Hall a fissare increduli la televisione. Il presidente Kennedy è stato assassinato. Tre colpi di cui due a segno. Qualcun altro oltre l’organizzazione aveva pianificato la morte di Kennedy a Dallas. Johnny lascia cadere la cornetta e torna nella camera con la dinamite, deve fare qualcosa. La porta è aperta. Johnny estrae la pistola e si mimetizza con le mura. C’è qualcuno che sta armeggiando con l’innesco della bomba. E’ una figura femminile. Johnny osserva, intuisce cosa sta succedendo. Lei stava disinnescando delicatamente il congegno, quando notò qualcosa. Solo una persona poteva aver fatto ciò. Un sigaro, un cubano, spento contro il muro. Proprio come faceva suo padre. Erano circa dieci anni che non si vedevano, e non poteva immaginare che le loro strade si sarebbero potute riunire dopo che lei aveva ucciso a sangue freddo sua madre per rubarle l’automobile. Aveva fatto carriera, ora era una terrorista in piena regola. Il timer smette di lampeggiare. Sembra esserci riuscita. Non ha tempo di rilassarsi. Un colpo le perfora il cranio proprio com’era successo al presidente pochi minuti prima. Johnny si era riscoperto estremamente patriottico. Gira il corpo della ragazza e lo riconosce. E’ cambiato, più duro. Ma è sua figlia. Non prova nulla. E’ solo consapevole che la situazione è precipitata. Il presidente morto, una camera d’albergo con dinamite e la figlia di Johnny Hurts freddata con un colpo sono un combo che lo portava dritto in gattabuia. Considerate le circostanze poteva fare solo una cosa: doveva nascondersi in Tibet. Il luogo preferito dai Killer per godersi la pensione o sfuggire alla sedia elettrica. 

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